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ALDA MERINI 1931

Italiana


Alda Merini 1931

da La presenza di Orfeo

Lettere

a Silvana Rovelli

Rivedo le tue lettere d'amore

illuminata, adesso, dal distacco;

senza quasi rancore...



L'illusione era forte a sostenerci;

ci reggevamo entra 22222g67w mbi negli abbracci

pregando che durassero gli intenti,

ci promettemmo il «sempre» degli amanti,

certi nei nostri spiriti d'Iddii...

... E hai potuto lasciarm,

e hai potuto intuire un'altra luce

che seguitasse dopo le mie spalle!

Mi hai suscitato dalle scarse origini

con richiami di musica divina,

mi hai resa divergenza di dolore,

spazio per la tua vita di ricerca

per abitarmi il tempo di un errore...

... E mi hai lasciato solo le tue lettere

onde ne ribevessi la mia assenza!

Gennaio 1949

da Nozze romane

Quando l'angoscia

Quando l'angoscia spande il suo colore

dentro l'anima buia

come una pennellata di vendetta,

sento il germoglio dell'antica fame

farsi timido e grigio

e morire la luce del domani.

E contro me le cose inanimate

che ho creato dapprima

vengono a rimorire dentro il seno

della mia intelligenza

avide del mio asilo e dei miei frutti,

richiedenti ricchezza ad un mendìco.

da Tu sei Pietro

Genesi

a Pietro De Paschale

Vorrei un figlio da te che sia una spada

lucente, come un grido di alta grazia,

che sia pietra, che sia novello Adamo,

lievito del mio sangue e che risolva

più quietamente questa nostra sete!

Ah, se t'amo, lo grido ad ogni vento

gemmando fiori da ogni stanco ramo

e fiorita son tutta e d'ogni velo

vò scerpando il mio lutto,

perché genesi sei della mia carne.

Ma il mio cuore, trafitto dall'amore

ha desiderio di mondarsi vivo.

E perciò dàmmi un figlio delicato,

un bellissimo, vergine viticcio

da allacciare al mio tronco, e tu, possente

olmo, tu padre ricco d'ogni forza pura

mieterai dolci ombre alle mie luci.

da Le satire della Ripa

[Cesare amò Cleopatra]

Cesare amò Cleopatra,

io amo Pierri divino

che non conduce nessuna guerra

che è solo condottiero di nostalgia,

ma il mio povero letto

giace nel solstizio d'estate

ed è un audace triclinio

quando lui a sera in vena d'amore

mi dice parole di patriottismo segreto.

da La Terra Santa e altre poesie

[Manicomio è parola assai più grande]

Manicomio è parola assai più grande

delle oscure voragini del sogno,

eppur veniva qualche volta al tempo

filamento di azzurro o una canzone

lontana di usignolo o si schiudeva

la tua bocca mordendo nell'azzurro

la menzogna feroce della vita.

O una mano impietosa di malato

saliva piano sulla tua finestra

sillabando il tuo nome e finalmente

sciolto il numero immondo ritrovavi

tutta la serietà della tua vita.

Vicino al Giordano

Ore perdute invano

nei giardini del manicomio,

su e giù per quelle barriere

inferocite dai fiori,

persi tutti in un sogno

di realtà che fuggiva

buttata dietro le nostre spalle

da non so quale chimera.

E dopo un incontro

qualche malato sorride

alle false feste.

Tempo perduto in vorticosi pensieri,

assiepati dietro le sbarre

come rondini nude.

Allora abbiamo ascoltato sermoni,

abbiamo moltiplicato i pesci,

laggiù vicino al Giordano,

ma il Cristo non c'era:

dal mondo ci aveva divelti

come erbaccia obbrobriosa.

La Terra Santa

Ho conosciuto Gerico,

ho avuto anch'io la mia Palestina,

le mura del manicomio

erano le mura di Gerico

e una pozza di acqua infettata

ci ha battezzati tutti.

Lì dentro eravamo ebrei

e i Farisei erano in alto

e c'era anche il Messia

confuso dentro la folla:

un pazzo che urlava al Cielo

tutto il suo amore in Dio.

Noi tutti, branco di asceti

eravamo come gli uccelli

e ogni tanto una rete

oscura ci imprigionava

ma andavamo verso la messe,

la messe di nostro Signore

e Cristo il Salvatore.

Fummo lavati e sepolti,

odoravamo di incenso.

E dopo, quando amavamo

ci facevano gli elettrochoc

perché, dicevano, un pazzo

non può amare nessuno.

Ma un giorno da dentro l'avello

anch'io mi sono ridestata

e anch'io come Gesù

ho avuto la mia resurrezione,

ma non sono salita ai cieli

sono discesa all'inferno

da dove riguardo stupita

le mura di Gerico antica.

[Le dune del canto si sono chiuse]

Le dune del canto si sono chiuse,

o dannata magia dell'universo,

che tutto può sopra una molle sfera.

Non venire tu quindi al mio passato,

non aprirai dei delta vorticosi,

delle piaghe latenti, degli accessi

alle scale che mobili si dànno

sopra la balaustra del declino;

resta, potresti anche essere Orfeo

che mi viene a ritogliere dal nulla,

resta o mio ardito e sommo cavaliere,

io patisco la luce, nelle ombre

sono regina ma fuori nel mondo

potrei essere morta e tu lo sai

lo smarrimento che mi prende pieno

quando io vedo un albero sicuro.

[Ho acceso un falò]

Ho acceso un falò

nelle mie notti di luna

per richiamare gli ospiti

come fanno le prostitute

ai bordi di certe strade,

ma nessuno si è fermato a guardare

e il mio falò si è spento.

[Il mio primo trafugamento di madre]

Il mio primo trafugamento di madre

avvenne in una notte d'estate,

quando un pazzo mi prese

e mi adagiò sopra l'erba

e mi fece concepire un figlio.

O mai la luna gridò così tanto

contro le stelle offese,

e mai gridarono tanto i miei visceri,

né il Signore volse mai il capo all'indietro

come in quell'istante preciso

vedendo la mia verginità di madre

offesa dentro a un ludibrio.

Il mio primo trafugamento di donna

avvenne in un angolo oscuro

sotto il calore impetuoso del sesso,

ma nacque una bimba gentile

con un sorriso dolcissimo

e tutto fu perdonato.

Ma io non perdonerò mai

e quel bimbo mi fu tolto dal grembo

e affidato a mani più «sante»,

ma fui io ad essere oltraggiata,

io che salii sopra i cieli

per avere concepito una genesi.

da Testamento

I poeti lavorano di notte

I poeti lavorano di notte

quando il tempo non urge su di loro,

quando tace il rumore della folla

e termina il linciaggio delle ore.

I poeti lavorano nel buio

come falchi notturni od usignoli

dal dolcissimo canto

e temono di offendere Iddio.

Ma i poeti nel loro silenzio

fanno ben più rumore

di una dorata cupola di stelle.

da Vuoto d'amore

[Spazio spazio io voglio, tanto spazio]

Spazio spazio io voglio, tanto spazio

per dolcissima muovermi ferita;

voglio spazio per cantare crescere

errare e saltare il fosso

della divina sapienza.

Spazio datemi spazio

ch'io lanci un urlo inumano,

quell'urlo di silenzio negli anni

che ho toccato con mano.

I miei poveri versi

I miei poveri versi

non sono belle, millantate parole,

non sono afrodisiaci folli

da ammannire ai potenti

e a chi voglia blandire la sua sete.

I miei poveri versi

sono brandelli di carne

nera disfatta chiusa,

e saltano agli occhi impetuosi;

sono orgogliosa della mia bellezza,

quando l'anima è satura dentro

di amarezza e dolore

diventa incredibilmente bella

e potente soprattutto.

Di questa potenza io sono orgogliosa

ma non d'altre disfatte;

perciò tu che mi leggi

fermo a un tavolino di caffè,

tu che passi le giornate sui libri

a cincischiare la noia

e ti senti maestro di critica,

tendi il tuo arco

al cuore di una donna perduta.

Lì mi raggiungerai in pieno.

[Sono nata il ventuno a primavera]

Sono nata il ventuno a primavera

ma non sapevo che nascere folle,

aprire le zolle

potesse scatenar tempesta.

Così Proserpina lieve

vede piovere sulle erbe,

sui grossi frumenti gentili

e piange sempre la sera.

Forse è la sua preghiera.

[Mi sono innamorata]

Mi sono innamorata

delle mie stesse ali d'angelo,

delle mie nari che succhiano la notte,

mi sono innamorata di me

e dei miei tormenti.

Un erpice che scava dentro le cose,

o forse fatta donzella

ho perso le mie sembianze.

Come sei nudo, amore,

nudo e senza difesa:

e sono la vera cetra

che ti colpisce nel petto

e ti dà larga resa.

Le osterie

A me piacciono gli anfratti bui

delle osterie dormienti,

dove la gente culmina nell'eccesso del canto,

a me piacciono le cose bestemmiate e leggere,

e i calici di vino profondi,

dove la mente esulta,

livello di magico pensiero.

Troppo sciocco è piangere sopra un amore perduto

malvissuto e scostante,

meglio l'acre vapore del vino

indenne,

meglio l'ubriacatura del genio,

meglio sì meglio

l'indagine sorda delle scorrevolezze di vite;

io amo le osterie

che parlano il linguaggio sottile

della lingua di Bacco

e poi nelle osterie

ci sta il nome di Charles

scritto a caratteri d'oro.

Natale 1988

Buon Natale, Marina,

mia rondine felice

mia adorata figliola

piena di mille grazie,

che non perdoni mai

gli sprechi di denaro:

tu non perdoni

l'usura dei poeti

la loro fantascienza

e l'eterno dolore.

Se tu non mi perdoni

che debbono dire i figli

dell'intero Naviglio

sopra cui giace inerte

la nera poesia,

quelle luci lontane

il seno della colpa

e il lubrico miraggio

di un amore perduto.

Buon Natale, Marina,

per ciò che non ho avuto.

da Ipotenusa d'amore

Oh donna

A Manuela

Oh donna,

il tuo violino superbo

apre angeliche voci

e un perno di metallo

anima l'usignolo.

Lui, Alberto, la mia rima,

subì questo momento

e divenni la dea

di vasta ipotenusa,

sberleffo di parole

o silloge del sole?

da Ballate non pagate

[Io come voi sono stata sorpresa]

Io come voi sono stata sorpresa

mentre rubavo la vita,

buttata fuori dal mio desiderio d'amore.

Io come voi non sono stata ascoltata

e ho visto le sbarre del silenzio

crescermi intorno e strapparmi i capelli.

Io come voi ho pianto,

ho riso e ho sperato.

Io come voi mi sono sentita togliere

i vestiti di dosso

e quando mi hanno dato in mano

la mia vergogna

ho mangiato vergogna ogni giorno.

Io come voi ho soccorso il nemico,

ho avuto fede nei miei poveri panni

e ho domandato che cosa sia il Signore,

poi dall'idea della sua esistenza

ho tratto forza per sentire il martirio

volarmi intorno come colomba viva.

Io come voi ho consumato l'amore da sola

lontana persino dal Cristo risorto.

Ma io come voi sono tornata alla scienza

del dolore dell'uomo, che è la scienza mia.

[Liberatemi il cuore]

Liberatemi il cuore

da questa assurda stagione d'amore

piena di segreti ricordi.

La sua bellezza come un sandalo d'oro

mi ha colpito la fronte

in cima ai miei pensieri.

La sua bellezza, unica al mondo possibile,

e il suo giovane cuore

buttato tra le siepi delle mie povere cose

mi hanno donato la speranza del fiore.

Lui stesso è un fiore, madre,

un fiore di giovinezza,

il fiore del gaudio e del dominio,

il fiore della mia lenta stagione.

Lui stesso è zolla, madre,

ma le zolle vogliono essere fecondate

e io non ho semi.

[Tu che passi fischiando]

ad Antonello S.

Tu che passi fischiando

lungo i tuoi rivi di vita assente,

giovane adolescente gagliardo

che guardi l'erba e la falce

con divina sapienza, ascolta:

chinato sulla terra

è forse il fiore della tua rivolta,

la rosa che disfatta

geme l'apoteosi

della maturità di donna, e tu la vedi

dissepolta tra i numi delle zolle

e non osi toccarla ché sarà,

dici a te stesso, infame.

Se forse a un certo gravido momento

questa rosa disfatta sulla terra

sorriderà al tuo piede che cammina,

adolescente, impara:

non sono soltanto verginali

a volte le fanciulle,

che anche i vecchi

han palpiti d'amore,

di amore chiuso dalle rimembranze.

[Eppure nella mia eterna avarizia]

Eppure nella mia eterna avarizia

qualcosa io sogno:

l'anima di Dio gentile,

il volare bianco della colomba,

il tuo immacolato disegno

d'amore,

il piangere di bagliori del vento

perduto

e le serpi leggere

che fluttuano alla tua destra.

Ma piangere sui carmi divoratori

è inutile, amore mio.

[Apro la sigaretta]

Apro la sigaretta

come fosse una foglia di tabacco

e aspiro avidamente

l'assenza della tua vita.

È così bello sentirti fuori,

desideroso di vedermi

e non mai ascoltato.

Sono crudele, lo so,

ma il gergo dei poeti è questo:

un lungo silenzio acceso

dopo un lunghissimo bacio.

[Mi dissero sei una santa]

Mi dissero sei una santa

perché a volte tu tremi

per via dei tuoi ricordi.

Io non ho mai avuto ricordi,

solo visioni acute, profezie:

so il giorno prima che viva

e il congedo di qualche giusto

che qui dimora,

ma come faccio a dire alla questura

che domani scoppierà la bomba

della mia voce?

[Ogni sospiro]

Ogni sospiro

è un immediato pensiero.

O viola del mio sentimento,

chi ti ha bruciato la vita?

Ero una donna oscena

che andava alle feste d'amore

e cantava le fiabe alle campane,

poi arrivò un uomo solo

che disse «sono il corriere del re».

La festa fu rovinata

e Cenerentola fu rapita.

[Coi capelli di donna lontana]

Coi capelli di donna lontana,

a immagine di lei quasi perfetta,

volevi farti una bianca minestra

e dirti che l'amavi. Nella buca

del tuo sogno selvaggio qualche volta

certo ti sei arrischiato di cadere

e mi tenevi come beduina,

volto fasciato dalla mia follia.

[L'oste che al crocevia]

L'oste che al crocevia

mesce vaghi bicchieri di candore

mi aveva detto che una bancarella

vendeva fosse per emarginati

e mi offriva camelie di peccato,

poi mi diceva «solo che volessi

noi manderemmo al diavolo il Titano,

quello che ti percuote nella mente».

[Ero al balcone della tua fortuna]

Ero al balcone della tua fortuna

e guardavo un cavallo, o monumento,

pari a un discorso fisso senza data.

Se tu domandi ciò che vedo intorno

alla giustizia, ti dirò che il volto

della paura ha un senso maledetto,

ti dirò che cercare il rosmarino

o le felci nel buio di un teatro

è come ricordare il paradiso

e i colli della prima giovinezza,

ti dirò di cercar la voce nuova

di cui io forse sono sentimento

e che profonda come la tua voce

mi tolse dall'inferno del sapere.

Quella cultura che forse mi devasta

non è altro che un suono dell'amore

e la chiusura della sua speranza:

egli morì di folle sentimento

come attaccato a un germe di vergogna

e si rinnova in estasi profonda

e si rinnova a ogni rinverdire

di fronde, come fosse là nel solco

di quel cortile cieco e maledetto

dove questo poema si conclude

dentro una forza fredda di natura.

da Superba la notte

[La cosa più superba è la notte]

La cosa più superba è la notte

quando cadono gli ultimi spaventi

e l'anima si getta all'avventura.

Lui tace nel tuo grembo

come riassorbito dal sangue

che finalmente si colora di Dio

e tu preghi che lui taccia per sempre

per non sentirlo come un rigoglio fisso

fin dentro le pareti.

Pier Luigi Bacchini

da Scritture vegetali

Il bambino

Il mio. La luce

gli striscia d'ombre il volto sotto i capelli

segnando gli zigomi, la fronte.

Il bambino. Produce unghie, cheratina. Verranno recisi

capelli e unghie. Evapora. Il mio bambino

evapora tutto nella sua epidermide fresca - sogna

avventure, giochi - le cellule si sfaldano, glandole

emettono odori. I cani li avvertono. Gioca

sotto i gerani. Io sono potente per lui,

e sua madre è lui stesso. Congegni elettronici

gli calcolano destini nuovi, trasformazioni. Con

ticchettii implacabili

lo sottopongono a collaudi e adattamenti. Si allontanerà

da me, sarò un impiccio, un vecchio disadatto

pieno di memorie noiose

e che discorre con gli alberi.

Stagione

Si sente che ha girato,

basta strusciare con la gamba la siepe,

anche l'odore delle foglie è diverso, il musco delle pietre,

non so come, è diverso, è fiorito il gelsomino

e i tronchi sono già intrisi di una luce

che riconosco

vibra sulle cortecce verdi

ricorda costiere bianche

di conchiglie rosa e frantumate.

Città

Il giardino ha balsami, insidie -

davvero su questo rosso l'aria è espansa

d'atomi profumati, che rappacificano noi con noi;

anche i colori profumano, con lunghezze d'onda che mandano

respiri,

non so come, e li inaliamo, e il clima

ha una densezza dolce, non si può più

pensare sotto le coronate magnolie. A pochi è dato.

- Ho carezze, erbe, che un tempo si chiamavano smalti,

ed è proprio vero, con pietre preziose, e non si può

non sentire una donna. Sebbene i sensi

di chi abita ampi giardini vadano placandosi

per palpiti di ali, forse colombi o morbide tortore lì

su quel ramo, e per il lamentoso verso

della tortora, e numerosi minimi uccelli ci distraggano

e gutturali

attutiti richiami, noi siamo attratti, fiutiamo

l'umanità del caprifoglio

coi suoi tepori tra i capelli e l'orecchio,

femminili, giovani -

e noi senza età; e un tessuto di suoni

e lucenti e brevi, e modulazioni

e velluti, e gracchi nascosti e lontani fischi

fanno una partitura d'inafferrabili e molteplici ritmi

che, simili a foglie, aghiformi

e fruscianti o pennate o impari -

pennate e le obovate e a cuore tutt'intorno

sono piacere e bellezza femminile,

né si percepisce più la complicata struttura del macchinario.

Ma poi non si sa, l'uomo nelle città

trova altre bellezze, e sia qui,

per gli intimi viottoli di casa, che per i viali

il dolore è segreto. È lì sotto, il veleno

è nelle fiabe dei funghi, e a sorpresa ti prende,

e nei mimetici aspidi.

Giornate

Quando il Maestrale marino nella sua sovranità

spinge

nubi sagittate e bianche

e impeti di luce

e trombe dai suoi lacerati

in aspirazioni a vortici

un nembo con la fessura divina ci abbaglia -

apre

montagne di nevi

sopra le terre

e strascichi, veli

assorbiti dall'azzurro

La mia meraviglia

La curva generatrice della conchiglia

e l'attorcigliamento del guscio

hanno il moto pietrificato

della violenza marina

- grande forma a uncino delle ondate temporalesche.

Ma le tenere ondulazioni del tubo fragilissimo

- il rosso e cinereo calcare, privo di una mente

che lo osservasse

riponendolo con cura in una mano -

e il rapporto amoroso tra la sua curvatura

e il raggio interno

formano l'orecchio delle altitudini delle Alpi, l'udito

della memoria, con mareggiate orchestrali.

- Lunazioni delle maree.

Scultura delle dimore del fondo.

L'invertebrato che l'abitava e che appetiva i sali

secerneva il suo scheletro

secondo le più surreali geometrie degli spazi

e le sembianze dello spirito.

Sandro Sinigaglia

da Il flauto e la bricolla

Un archetto di luna

Un archetto di luna - il sesto la curva

dolce de l'òmero

che la maglia bianca fasciava -

al limpido tatto ridona memoria.

Se vado non posso

che nascondere in tasca

la mano visionaria.

Nel buio mi scrivi

Nel buio mi scrivi

col dito la falange del dito

sul polso

mobile stazione del cuore

una croce.

Lì dove s'attacca

il bacio del catodo freddo

quando scende la folgore

sul povero egro

che il bianco cotone ha sconvolto.

da La Camena gurgandina

Gialleggia il vercellese

Gialleggia il vercellese

l'oro mi fa

stringere gli occhi di splendore

e a giri concentrici

sui risi sui risi

dopo la fila dei pioppi

discende la giana.

Con rauca strozza mi chiama!

Alla crocera a quattro

fossili pali ancora resistenti

compagni traditi alzati ai capestri

di fresche ferite vestiti.

Per chi per chi?

Forse per altre spighe.

Di cui tanta luce non è che l'ombra.

Algida era la sizza

Algida era la sizza novembrina

- già sui fronti epiroti e nelle sirti

cadevan falciati i primi fratelli -

sotto il piede tenace l'arenosa ripa.

Avevo in tasca la cartolina

anch'io del bramasangue

da dio percosso nella trebisonda:

l'ora

quella d'un mezzo coprifuoco.

E tu aliasti dietro uno steccato

frangivento in quell'over-coat

d'incerato come una suora.

Caldo fu il nicchio il più caldo

che mai colsi: onde m'acclaran gli anni

che più in sommo ch'amore

risplenda cortesia.

Rompeva

il mare alla spiaggia non un fosforo

per ovunque si vedeva. Sola

in cielo e stupenda la luna romea.

Era un plèd scozzese

Era un plèd scozzese

più provato d'una bandiera

garibaldina. L'aprivi tu

(riquadrandolo poi) ed alcunché

a tratti nella mente mi vampiva

di due prische già visse vite

due giovani evedim

tra il Sur e il Sin

erranti oltre l'Horeb.

L'aprivi

tu sulle glebe insollite

sul forteto più croio

... e non s'ebbe il re di Francia

più caldo accoppiatoio.

Congedo

I miei amici i poeti

servito ho sempre

di quel servo l'uguale

che del padrone il gesto accarna

il vizio l'accento stretto

nel gozzo serbando al palegro

un rovente segreto.

[Il sole m'è nemico]

Il sole m'è nemico

perché biondo. Scavezza

biondezza sulle lontane

forre che visitammo insieme

dagli abbaini di Milano

flave trecce discioglie

di sottilissimi capelli

che l'occhio mi gattigliano

la faccia mi coprono mi vengono

in bocca mi soffocano.

da Versi dispersi e nugaci

Anacreontica

Miei pugillari... di nefa vivo

d'enuèg di splin o pur già sotto

i soranti vanni dell'imbecillità

queto ed imbelle suddito son fatto?

Velocior dunque l'aspo ordunque prilla

tempi statuti da costituisti

di severi legati item di mete

affidabili ai venturi item di fiaccole

protese ai prossimi tedofori?

Brevi e concinni

miei pugillari saltem scrivete

che se Polimnia al mio labbro non soccorre

né ai baci ebbromordaci né ai duttili

simplemmi me più cimenta Cloe lungi

col piè cansando l'imicola lacinia

poca - non troppa! - è la strizza dell'Orco

e tali sensi consacrate ai Mani.

da Il Regesto della Rosa e altre vanterie

[Essere un Faldellin poetico]

Essere un Faldellin poetico

cuor nobile e gentile

poiché sono un buzzurro!

Essere uno Scrofo del secolo

ventesimo poiché sono padano

con la fissa del fiore anziché del forello!

E di felicità morrei!

O se pur mi dicesse il nobile

Alberto Carlo Pisani Dossi:

«benché tu sii ginofilo

non sei mediocre!»


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