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Il vagabondo delle stelle

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"Il vagabondo delle stelle" è senza dubbio l'ultimo grande romanzo di Jack London. E proprio per diventare grande, come sempre ha desiderato nella sua avventurosa vita, ne ha voluto fare un maestoso affresco realista, ben piantato coi piedi per terra, ma con lo spirito proiettato all'infinito, all'indicibile.

John Griffith London, nacque a San Francisco, negli Stati Uniti, nel 1876.[1] Fu messo al mondo da una donna non sposata di nome Flora Wellman. Suo padre dovrebbe essere stato William Chaney, un giornalista e avvocato, ma soprattutto una delle figure più importanti nel confuso scenario dell'astrologia americana dell'epoca. La relazione fra i due non andò più in là di qualche incontro. Più tardi, nello stesso anno, la madre contrasse matrimonio con John London, un veterano della guerra civile parzialmente invalido. A causa dell'infermità della madre, la quale soffriva di frequenti crisi isteriche, egli venne cresciuto da una ex schiava afroamericana di nome Virginia Pentass, la quale rimase negli anni dell'infanzia la principale figura materna.

La famiglia, prima di trasferirsi ad Oakland, si spostò nell'area della Baia di San Francisco, a Livermore. Sebbene le prime biografie mitizzanti del romanziere fossero concordi nel definire clamorosamente indigente la famiglia di Jack, sappiamo che in realtà la sua situazione economica non 939e42j era così disastrosa, pur provenendo da una famiglia della working class.

A Livermore un altro veterano di guerra venne ospitato "a pensione" nella sua famiglia: ben presto (1874) questo veterano, Sam Shepard sposò la sorellastra del bambino, Eliza, ed i due si trasferirono ad Oakland, con sommo dispiacere del piccolo John, che da adolescente adottò, per sua stessa iniziativa, il nome di Jack.

Per tutta la vita rimase affezionato in modo assoluto alla sorellastra, in primo luogo in quanto ella riusciva ad essere schermo e filtro alle frequenti sfuriate e bizzarrie della madre, con cui Jack non riuscì mai a legare particolarmente. La donna aveva spesso crisi isteriche che turbavano la serenità del piccolo. Oltretutto faceva parte di alcune associazioni convinte di poter entrare in contatto con l'aldilà attraverso i propri medium. Organizzava, facendosi pagare, sedute spiritiche nelle quali ella in prima persona vomitava, in una presunta trance, una serie di parole a caso a cui in seguito dava un'interpretazione ad uso e consumo di ogni cliente.

Lo stesso Jack si mostrava scettico riguardo quelle performances insieme ridicole e per lui vergognose. "Sono delle gran bestialità" ripeteva agli amici, "io non credo a nulla, non c'è niente dopo la morte"[2].

Nell'estate del 1885, il padre adottivo fu costretto a vendere la casa colonica di Livermore e ad affittare un piccolo appartamento ad Oakland. Il cambiamento fu presto digerito dal giovanissimo Jack, che per contribuire alle modeste entrate della famiglia cominciò quella lunga serie di lavori, spesso molto duri ed in alcuni casi anche pericolosi, che contraddistinsero gli anni della sua adolescenza. Naturalmente furono anche gli anni delle scuole primarie. Jack completò senza problemi l'iter verso il diploma di scuola primaria e la lettura, pur avendo lasciato la scuola, divenne la sua più grande passione. Leggeva sempre, nella biblioteca di Oakland e a casa, tanto che a volte restava sveglio tutta la notte. Leggeva di tutto, consigliato spesso dalla responsabile della biblioteca, con una voracità paragonabile, più tardi, alla sua fertilità nello scrivere.

Tra i suoi pensatori preferiti troviamo Kant, Darwin, Schopenauer, Hegel, Marx e soprattutto Nietzche: per il filosofo tedesco ebbe una vera e propria idolatria, ma il ricorso al superuomo lo lasciava perplesso, come un suggerimento carico di incognite e che non riusciva a comprendere totalmente.

Dai dieci ai tredici anni lavorò come strillone, guadagnando pochi centesimi l'ora. Verso i quattordici anni, finita la scuola, si fece assumere come operaio addetto all'inscatolamento del pesce, in condizioni di sfruttamento per i turni massacranti cui non seguiva un adeguato salario. E' in questo periodo che sviluppò le prime simpatie socialiste, che, anche più tardi, dopo che abbandonò il partito, non vennero mai meno. Non rinunciò mai al suo istinto critico nei confronti delle istituzioni che limitano la libertà individuale. Addirittura, licenziatosi dalla fabbrica, sfidò frontalmente il sistema: cominciò intorno al 1890 quella che lui definisce la professione di "pirata"; più semplicemente egli divenne ladro d'ostriche nei numerosi allevamenti artificiali nella baia di San Francisco. Dichiarò di essere riuscito a riscuotere in una settimana la cifra che in fabbrica avrebbe guadagnato in un anno massacrante [3]. In più si divertiva e faceva molte nuove esperienze. Purtroppo però riusciva a spendere con altrettanta facilità quello che metteva da parte. A sedici anni allora decise di cambiare "squadra", passando alla Pattuglia di pesca californiana.

Appare strana questa decisione, a causa del suo reiterato ritegno verso le forze dell'ordine, se non si tiene conto del desiderio di London di allargare i propri orizzonti: con la Pattuglia infatti egli poteva esplorare non solo la baia, ma anche l'Oceano aperto. E il mare era diventato una delle sue più grandi passioni da quando aveva imparato a veleggiare.

Da questi due periodi, diversi ma con molto in comune, egli trasse lo spunto per numerosi racconti fra i quali i "Racconti della pattuglia di pesca"; ciò a testimoniare la profonda rilevanza autobiografica di moltissime sue opere.

Mostrando una delle caratteristiche precipue del suo carattere, cioè la sua continua voglia di novità e di stimoli, abbandonò anche la pattuglia e nella primavera del 1893 salpò alla volta delle coste settentrionali giapponesi a bordo della Sophia Sutherland, un'imbarcazione armata per la caccia alle foche.

Finalmente arrivò la prima occasione per scrutare orizzonti fino ad allora sconosciuti.

Tornato ad Oakland, e trovata la famiglia carica di debiti, si cercò l'ennesima occupazione: prima in un'altra fabbrica di inscatolamento di conserve di pesce, poi come elettricista.

Cominciarono d'altronde i primi successi della sua carriera di scrittore. Vinse il primo premio di un concorso per giovani istituito dal "San Francisco Morning Call", grazie al racconto sull'esperienza di un tifone al largo delle coste giapponesi, esperienza che visse in prima persona a bordo del Sophia Sutherland.

In quegli anni la recessione attraversava il paese e in special modo la California. Il diciottenne Jack partecipò allora alla mobilitazione che coinvolse la classe operaia: fu organizzata una marcia di protesta contro il Congresso, reo di aver respinto il cosiddetto "Progetto Coxey", che consisteva nell'investimento di 500 milioni di dollari nelle strade della nazione, con un conseguente aumento dell'occupazione e che suscitò notevoli consensi fra gli strati più bassi della società, destinati però a rimanere profondamente delusi. Decise di partire anche lui alla volta di Washington, ma la sgangherata marcia di protesta finì molto prima; Jack London, non ancora ventenne, risolse allora di continuare quella che lui stesso definì la "professione di vagabondo".

Girava per conoscere la parte est degli Stati Uniti, quando arrivò alle cascate del Niagara, e, notato da un poliziotto, venne arrestato per vagabondaggio. Subì un processo che definire una farsa è eufemistico e fu condannato a scontare un mese di prigione in condizioni miserabili, a causa del pessimo vitto e dei lavori forzati.

Non si scoraggiò, bensì continuò a vagabondare; tornò ad Oakland nell'inverno del 1897, e dopo aver vissuto sulla propria pelle le sofferenze cui è destinato chi è povero, decise di cambiare il proprio futuro assommando l'istruzione all'esperienza.

A ventuno anni si iscrisse al liceo. Passava le giornate fra scuola,studio e lavoro. A casa sua aveva ricavato uno studiolo personale ed è lì che, nel fumo denso delle sigarette, si formerà l'autore noto in tutto il mondo. Intraprese le prime modeste esperienze giornalistiche sul giornalino scolastico e portò nel frattempo avanti le sue consuete e spasmodiche letture, tentando di formarsi un proprio bagaglio stilistico.

Concluso il liceo affrontò le durissime prove d'ammissione all'università di Berkeley, la più prestigiosa della California, prove nelle quali riuscì brillantemente. Ma all'entusiasmo dovuto al felice esito non seguì una frequentazione altrettanto felice dell'ateneo. Infatti l'ambiente così snob e mondano di Berkeley lo lasciò davvero atterrito: quei giovani che non sapevano vedere i veri drammi della vita, quelli che lui aveva vissuto direttamente, così intenti nell'ostentare la propria ricchezza. Non erano i compagni che cercava. Inoltre non poteva sostenere le spese dovute alla vita sociale, né quelle, necessarie, della vita quotidiana. Il risultato fu in primo luogo l'assoluto silenzio, nel senso di parole scritte, nei periodici universitari; in secondo luogo abbandonò l'università alla fine del primo semestre e si iscrisse al Partito dei Lavoratori Socialisti.

Cominciò subito a lottare contro gli abusi con la sua migliore arma, la parola.

Aveva preso l'abitudine a parlare in pubblico e per una discussione pubblica non autorizzata fu processato. Vinse la causa difendendosi da solo, senza avvocato: la sua fama crebbe oltre i confini di Oakland e proprio quella causa lo convinse a prendere più seriamente in mano la penna. E'lui stesso a farcelo sapere: "Scrivevo migliaia di parole al giorno, le ricopiavo faticosamente, le spedivo agli editori che con la stessa celerità me le rispedivano"[4]. Nel frattempo lavorava come lavandaio.

Nell'estate 1897 prese la decisione forse più importante per quella carriera che doveva ancora iniziare. Stabilì di partire alla volta del Klondike insieme al cognato Sam Shepard, anche lui colpito da quel fenomeno di massa denominato klondikite. Migliaia di speranzosi partirono alla volta di quella remota regione dell'Alaska per trovare l'oro. Tale fenomeno segnò quegli anni ma principalmente segnò la fantasia del giovane London, sempre così voglioso d'esperienze ed avventure.

Dopo un inverno terribile riuscì a tornare a casa, ma pur non avendo trovato l'oro, quella fantastica avventura, ispirando senza dubbio le sue opere maggiormente conosciute (Zanna Bianca e Il Richiamo della Foresta, molti anni dopo, oltre a numerosi altri racconti), contribuì alla sua folgorante carriera.

Frustrato però dai numerosi rifiuti editoriali, tentò una virata stilistica tesa a rendere epico lo stile della propria scrittura, allora ancora acerba e troppo asciutta. Questi sforzi lo portarono alla prima vera pubblicazione retribuita: il mensile "Overland Monthly Magazine", di notevole livello culturale, accettò un suo racconto, "Un uomo sulla pista".

Da allora incominciò a pubblicare sempre più frequentemente su numerose riviste, con retribuzioni sempre maggiori, fino a diventare, nel corso degli anni, lo scrittore più pagato d'America. Stupisce in ogni caso la rapidità del passaggio da aspirante scrittore abituato ai rifiuti al suo nuovo status di scrittore noto, ben pagato e richiestissimo.

Nei primi anni del Novecento London sostenne moltissime collaborazioni con le maggiori riviste dell'epoca; oltretutto scrisse per numerosi giornali californiani e venne considerato uno dei migliori reporters del tempo grazie alla sua abilità con la macchina fotografica e ai suoi servizi in giro per il mondo. Sono da considerare giustamente celebri le due inchieste più "estreme": la prima nelle periferie londinesi dell'East End, nella quale dipinse magistralmente le pessime condizioni degli indigenti, travestito (guarda caso!) da barbone; la seconda come inviato nella guerra russo-giapponese, nel 1904, con la quale riuscì a descrivere le sconvolgenti e cruente asperità di una delle prime guerre moderne.

Nel frattempo, nel 1901 si era sposato con Betzie Madern, una ragazza molto diversa da lui per carattere e aspirazioni. Fallì presto, nonostante con sua immensa contentezza quello stesso matrimonio gli regalò due figlie. Sorprende poi il fatto che Jack non capì immediatamente quelle spiccate diversità e le fratture insanabili che si sarebbero create. Anche perché già conosceva quella che successivamente si rivelerà la donna della sua vita, Charmian Kittredge, con la quale nemmeno durante il matrimonio cessò mai di frequentarsi, alcuni dicono anche intimamente.

Frenetica intanto proseguiva la sua produzione di racconti e ben presto di romanzi: dapprima "Il figlio del lupo",poi "Il popolo dell'abisso", romanzo sociologico sulle condizioni dei diseredati, "Il tallone di ferro", fino ad arrivare a "Il richiamo della foresta", col quale si consacrò definitivamente alla critica e al pubblico.

Narrando del grande nord e delle immense distese abbandonate dell'Alaska era finalmente giunto al suo massimo grado epico, che in seguito non tradì mai.

"Il richiamo della foresta" è senz'altro una invenzione letteraria di London, ma in ogni sua riga traspare il realismo e la schiettezza che solo l'osservazione diretta e in prima persona dei fatti riescono a trasmettere.

Finirono così i problemi economici che lo avevano assillato per tanti anni e la fama dell'autore crebbe a dismisura, oltrepassando i confini nazionali e giungendo fino in Europa.

Dopo il divorzio nel 1904 andò a vivere con Charmian e trascorse tutto l'anno 1905 con lei, fra le conferenze in giro per gli Stati Uniti e l'elaborazione espressiva. Giunse però, come sempre, il momento di partire ancora una volta, verso l'avventura; questa volta con lui c'era la donna che amava, e la destinazione non fu il nord, ma i mari del sud Pacifico, la Polinesia e la Melanesia. E si mosse a bordo di uno scafo che restaurò e mise in mare personalmente, lo Snark. Nonostante le difficoltà di una traversata così difficile tutto andò sempre a finire bene, consentendogli di accumulare moltissime esperienze e lasciandolo soprattutto con una grande felicità nel cuore.

Nel 1908 tornarono dunque negli Stati Uniti e da allora London portò avanti una vita più tranquilla, esaurendo in parte la sua voglia d'avventura. Decise infatti di vivere con Charmian in un ranch molto esteso, acquistato grazie ai proventi delle sue opere precedenti ma soprattutto grazie ai tantissimi guadagnati con la pubblicazione di Martin Eden, al ritorno dai Mari del Sud. Questo è sicuramente il miglior romanzo londoniano, (anche London la pensava così), capace di mettere d'accordo in primo luogo il pubblico e in seguito la critica: influenzò molte generazioni di scrittori statunitensi e per decenni venne considerato il più grande romanzo americano.

Nonostante l'apparente serenità, gli anni del ranch furono in realtà carichi di delusioni e disillusioni, fino ad arrivare al 1913, anno di una grave crisi agricola in California, nel quale si svilupparono le prime tensioni coi suoi vicini di casa e con Charmian. Nei primi mesi del 1914, Jack London era considerato forse il più grande scrittore statunitense dell'epoca.

Fu questo il momento dell'apice del suo successo. L'anno precedente era stato uno dei maggiormente fruttuosi della sua carriera di scrittore, sicuramente il più prolifico. Eppure il suo stato d'animo era a pezzi. Aveva un matrimonio finito alle spalle e due figlie che lo accusavano di averle abbandonate. La relazione con Charmian, la donna con cui lo scrittore condivise tanti anni della sua vita, ma che lo aveva deluso per quella sua infantile semplicità, stava scemando, insieme alla fedeltà per la donna, che prima lo aveva contraddistinto. Voleva un figlio, e cercò anche di ottenerlo da altre donne.

Irving Stone, insuperato biografo di London, è spietato nel tracciarne il ritratto. In Jack London, sailor on horseback, parla di un uomo che a dispetto della sua incrollabile speranza, ormai stava perdendo anche le ultime.

Il suo patrimonio, quello dello scrittore più pagato d'America, era clamorosamente in rosso. Ciò era dovuto massimamente alla poca lungimiranza per gli affari e alla prodiga generosità che aveva verso chiunque.

Inoltre tanti erano coloro che gli voltarono le spalle nel momento del bisogno, tanti proprio fra quelli che lui aveva aiutato. Erano stati anzi alcuni di loro ad accelerarne le difficoltà e la malattia, intentandogli causa per una questione di possesso delle acque di irrigazione, nella quale per altro lo scrittore aveva ragione.

Il suo fisico era stato sempre motivo di vanto per lui. Lo aveva portato da un capo all'altro del mondo durante le numerose avventure che contraddistinsero la vita dell'autore d'avventura per antonomasia. Ora invece stava cedendo, oppresso da una malattia ai reni che si acuiva di giorno in giorno.

Questa era pressappoco la situazione del romanziere durante la stesura de "Il vagabondo delle stelle".

Jack London era fortemente depresso, beveva come non mai e, unica consolazione, anche la terra, la sua fattoria, iniziava a tradirlo.

Aveva perso fiducia nei confronti dell'umanità, un pregio che gli era appartenuto come a pochi altri.

Scrive Stone:"Circondato da amici e parenti, con centinaia di migliaia di ammiratori sparsi in tutto il mondo occidentale, si sentiva indicibilmente solo."[5] Era alla ricerca di un riscatto, di una rinascita.

E l'idea che cercava arrivò. Dopo cinque anni di rigore ed isolamento nel carcere di San Quentin, il suo amico Ed Morrell, dopo aver ottenuto di guidare i detenuti più meritevoli del carcere, fu liberato e cominciò a frequentare la tenuta di London, raccontando dei suoi anni di sofferenza, parlando di criminologia e di applicazione delle pene giudiziarie, temi che, seppur di sfuggita, possiamo ritrovare nell'opera. Ritroveremo invece Ed Morrell nel romanzo con il suo vero nome e con un destino molto simile alla realtà. Come può facilmente accorgersi chiunque si avvicini alle opere londoniane e alla vita del loro autore, esse sono permeate da un fortissimo senso autobiografico, e questa non fa certo eccezione.

Ecco l'importanza allora di esserci soffermati sulla sua avventurosa esistenza.

Così rispose ad uno dei suoi pochi amici fra i critici letterari:"Sei l'unico in tutti gli Stati Uniti ad essersi entusiasmato per Il vagabondo delle stelle. Gli altri hanno detto che si tratta della mia solita roba truculenta, nauseante, primitiva, cruenta, troppo orribile per essere letta dalle donne, e troppo orribile anche per essere lette dagli uomini, a meno che non siano dei degenerati. Se le mie storie sono feroci vuol dire che la vita lo è. Io credo che la vita sia forte, non feroce, e cerco di rendere le mie storie forti come la vita."[6]

Forte è dunque la vita per London e, nonostante le sofferenze, non feroce.

Non è possibile in questa sede addentrarci in una ricerca sistematica dei rapporti che Jack London ebbe con le dottrine ermetiche ed in particolare con il Poimandres, il primo e fondamentale dei trattati che compongono il Corpus Hermeticum. Tenteremo invece di ritrovare nel testo londoniano tutti i rimandi al testo del Poimandres, e alle implicazioni storico-religiose e storico-culturali.

Chiudiamo questo primo capitolo riferendo il passo in cui Paolo Scarpi[7] mette a tema "l'ispirazione ermetica" di Jack London. Egli intitola l'introduzione all'edizione critica del Poimandres proprio come fece nel 1914 lo scrittore americano per il suo romanzo. Dopo una breve presentazione del contesto nel quale si svolge la vicenda del protagonista (ed alter ego) di Jack London, Scarpi scrive:

"Benché figlio illegittimo di un astrologo ambulante, è difficile dire se Jack London ebbe mai qualche nozione relativa all'ermetismo, anche se Darrell Standing era stato, in una delle sua numerose reincarnazioni, un seguace di Ario, il presbitero di Alessandria condannato dal Concilio di Nicea nel 325. Resta comunque che in The Star Rover si possono riconoscere tutti o quasi gli ingredienti costitutivi dell'ermetismo e, analogamente, di quelle manifestazioni religiose di tipo elitario che si svilupparono in particolar modo nei primi secoli dell'impero romano, contro le quali si accanirono gli apologeti cristiani e che sono conosciute come scuole gnostiche o, con termine onnicomprensivo, come gnosticismo tout court. E questo sistema di idee è penetrato nel pensiero occidentale, conoscendo fasi alterne di splendore e di oscuramento, ma anche mescolandosi e confondendosi con altre dottrine, per cui non sempre è possibile individuarne l'apporto. Anche senza poter ora riconoscere la fonte o le fonti che hanno in qualche misura influito sull'autore di The Star Rover, nondimeno Il vagabondo delle stelle mi sembra un titolo che potrebbe illustrare il primo trattato o Logos del Corpus Hermeticum." [8]

"Ho sempre avuto, nel corso della mia intera esistenza, la netta sensazione di aver vissuto in altri tempi e in altri luoghi, di avere addirittura ospitato in me altre persone. Ma, credimi, lo stesso vale anche per te che leggerai queste righe: torna con la mente alla tua fanciullezza, e rivivrai come tua l'esperienza di cui parlo. Eri, allora, qualcosa di instabile, di non ancora cristallizzato, di malleabile, eri un'anima in mutamento, una coscienza e un'identità che si andavano formando, proprio così, e che nel formarsi apprendevano anche a dimenticare."[9]

Queste le parole iniziali del romanzo.

Il narratore afferma, con fare sicuro, le sue convinzioni, proiettando il lettore fin dalla seconda riga in tempi remoti, mondi lontani, pluripersonalità.

Colpisce la decisione delle asserzioni e il coinvolgimento che da subito London offre al suo pubblico. Si affaccia sin dall'inizio un tema che sarà affrontato nella prima parte del primo capitolo: si tratta, se vogliamo, di una tematica molto moderna all'epoca della stesura del romanzo. La psicologia, nel senso moderno del termine, aveva dato appena, all'alba del Novecento, la prima grande opera che rivoluzionò il rapporto dell'uomo moderno con se stesso, e conseguentemente, le sue istanze culturali, filosofiche, religiose. 

Risale difatti al 1900 la pubblicazione de L'interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, trattato che poneva le basi della psicanalisi e della moderna psicologia e d'altro lato contribuì alla formazione delle coscienze moderne ed individualistiche.

E la letteratura, coscienza collettiva al pari di filosofia e religione e banca di emozioni da cui attingere a piene mani per le illusioni terrene e, meno spesso, ultraterrene, ne uscì vivamente modificata sin dai primi anni, tesa verso una più profonda introspezione e una maggiore caratterizzazione dei personaggi ed insieme a lei si modificarono lo stile e le tematiche londoniane. Osservando il fenomeno da lontano è difficile per noi, immersi ad occhi aperti o quasi nel flusso di conoscenze che ci portiamo dietro da un secolo, comprendere chiaramente cosa voglia dire, per donne e uomini adulti, scoprire che possedevano in loro una nuova sede del pensiero di cui non sapevano l'esistenza e che forse avevano solo intuito, come dichiara di avere fatto Darrell Standing, protagonista e narratore in prima persona del romanzo.

In lui il cambiamento è già avvenuto precocemente e forzatamente nella prigione di San Quentin. Come apprenderemo già nel primo capitolo, egli scrive le sue memorie a pochi giorni dall'esecuzione capitale, a Forsell.

Non a caso, più avanti egli parla di fanciullezza, di coscienza ed identità in formazione, in accordo con le tesi freudiane della maturazione, durante l'infanzia, dei tre livelli della psiche umana, conscio, subconscio ed inconscio, con quest'ultimo sede della fabbricazione dei sogni e dei ricordi repressi. Difatti più avanti Darrell porta come prima prova per le sue affermazioni il fatto che durante i sogni proviamo esperienze che non possiamo aver compiuto, perché legate ad epoche passate, o a realtà spaziali. Tutti almeno una volta abbiamo sognato e ricordato di avere sognato esperienze legate al volo, allo strisciare nel fango o al respirare sott'acqua, che nessun essere umano potrebbe dire come proprie.

Standing dichiara che i sogni non sono che il rimpasto di esperienze a noi note e che questo tipo di sogni, frequenti nell'infanzia sono "segni di altri mondi, di altre vite, di cose che nella tua vita reale, in questo mondo reale, non avevi mai visto."[10] Continua citando Wordsworth, in particolare un passo delle sue Intimations of Immortality from recollections of Early Childhood: "Né in nudità completa, né in totale oblio" , sottolineando un legame col pensatore inglese e specialmente con quest'opera. Perché mai avremmo dovuto, da fanciulli, serbare il ricordo o soltanto le sensazioni di quegli incubi, le paure che non avevamo mai dovuto provare. E poi porta una testimonianza di sé bambino, evidentemente molto ricettivo, a tal punto che ricorda un episodio particolarmente significativo. Fu il padre a non fargli dimenticare nel corso degli anni, di quando, di fronte ad un prete tra lo sbigottito e l'ammirato, aveva riconosciuto da alcune fotografie della Terra Santa quei luoghi che, come sapremo più avanti nel romanzo, già aveva visitato, ma non nella forma corporea di Darrell bambino .

Tutto il primo capitolo è pervaso da un forte accento rivelatore, nel senso latino del termine: il protagonista dimostra di conoscere cose che i lettori non sanno, o meglio che hanno dimenticato; è in questo senso specifico che Darrell toglie il velo della coscienza ai suoi lettori, scoprendo e divulgando ciò che ha visto, ciò che ha vissuto. Come il sacerdote di una qualche religione.

Non sono pochi all'interno di tutto il romanzo i richiami, più o meno espliciti, a tali figure: ricordiamo ad esempio che in una delle sue reincarnazioni Darrell è stato un sacerdote di Ario[13]; inoltre in molte delle divagazioni in vite precedenti, sono frequenti i riferimenti velati a preti, sacerdoti, papi, eccetera, fino a culminare in uno dei racconti più toccanti, quello del soldato romano di stirpe barbara che vede coi suoi occhi la Passione di Gesù Cristo .

Dirette sono le sue asserzioni, decise come appunto possono essere quelle di chi è portatore di verità ignote ai più: "Quando avevo tre, quattro, cinque anni, non ero ancora un io, ma un essere in trasformazione, un flusso di spirito che non si era ancora solidificato nello stampo del mio corpo"[15]; e ancora: "sono riuscito ad attingere una libertà che solo pochi conoscono" .

Nel frattempo Standing prova a condurci verso le cause che gli hanno permesso di raggiungere questo privilegio. Come vedremo appena il narratore inizierà la sua storia, non sono certamente piacevoli queste cause; sappiamo che è in prigione e che è stato condannato a morte, ma non conosciamo le cause della detenzione e della pena capitale: Darrell ci porterà nel suo duro iter di riscossa dalla morte e di salvazione.

Innanzitutto veniamo a sapere che il protagonista è un professore di agronomia, dedito in primo luogo alla risoluzione dei problemi di spreco delle risorse, delle energie, della forza lavoro, e che insegnava nell'università di Berkeley. Sono immediati i richiami autobiografici: il giovane London infatti frequentò e abbandonò dopo un solo semestre proprio quest'università; oltretutto l'autore viveva in un ranch del quale si occupava personalmente, anche se non con lo stesso successo del professor Standing[17]. Darrell Standing quindi altri non è che London in quel particolare momento della sua vita: sofferente ma speranzoso allo stesso tempo, sacerdote che con la parola può salvare e salvarsi. Fino alla fine del romanzo Darrell non spiegherà il motivo materiale della sua carcerazione, bensì ce ne rivelerà sin dall'inizio la causa ancestrale: la collera rossa. Con queste parole egli intende la pulsione atavica che "mi ha perduto in tutte le mie esistenze; la rossa collera è il disastroso retaggio di un tempo in cui il mondo altro non era che fango informe" . Ma un'altra grande tematica pervade i primi capitoli del romanzo: la teoria dell'evoluzione. Risaliva agli ultimissimi anni del diciannovesimo secolo la pubblicazione e la diffusione degli insegnamenti del primo grande evoluzionista della storia, Charles Darwin. Ed essa con sé portò al pari della psicanalisi freudiana una vera e propria rivoluzione nel pensiero dei primi del Novecento: pensiamo a quanti ancora oggi rifiutano di credere a questa teoria, che è stata ampiamente anche se non del tutto dimostrata. A più di un secolo di distanza si ha paura di una teoria che pone l'uomo, almeno in partenza, sullo stesso piano delle altre specie animali. Questa sconvolgente novità produsse nelle menti più aperte e sensibili una sorta di ribaltamento di vedute. L'uomo e la donna non vengono più dall'alto dei cieli, ma dal basso della terra. Ecco dunque una forte esigenza di nuove religiosità, fenomeno che in tempi di crisi, di profondo rivolgimento dei valori tradizionali, ritorna sempre uguale nella storia dell'umanità. Nuovi valori sono necessari, nuovi orizzonti dove proiettare il proprio intelletto ma soprattutto la propria anima. Dicevamo prima che Nietzsche fu uno dei suoi filosofi più amati, anche se non riuscì interamente nella sua comprensione. Ma i concetti cardine li assimilò, facendoli propri. Pensiamo ad esempio al concetto di "gaia scienza" che troviamo nel filosofo tedesco. Per raggiungere questo stato di letizia bisogna abbandonare la morale corrente, porsi liberi al di là del bene e del male e quindi staccarsi da parecchie cose, ma per far questo occorre acquisire una condizione di leggerezza. Vedremo in seguito come Darrell Standing raggiungerà questa condizione, staccandosi forzatamente da molte cose, prima fra tutte la libertà. Ma il capovolgimento radicale, il capovolgimento dei valori morali può avvenire portando fino in fondo l'impulso dell'uomo teoretico alla verità: è proprio l'amore per la verità che consente di smascherare come errori le stesse verità che sono alla base della morale tradizionale, in primis la verità stessa, la giustizia, l'amore per il prossimo e Dio. Non si tratta però di dimostrare che Dio non esiste, ma di superare questa contrapposizione prendendo atto dell'inarrestabile declino della fede, che consente di liberare l'umanità dal fardello della colpa.

Ma Zarathustra è per antonomasia il "senzadio", colui che si fece portavoce della verità che toglieva ogni speranza: "Dio è morto"[19]; e con lui ogni speranza di vita ultraterrena; ricreandola con nuovi valori però l'uomo può farsi nuovo, farsi "superuomo" e osannare così la sua bellezza. Ma ne possiede una e, in quanto unica, deve viverla al massimo delle sue possibilità.

Darrell, riesce invece a sentire come proprie e addirittura a rivivere le sue infinte vite, dunque è portatore di una infinita possibilità di vita. Da ognuna delle quali traspare attraverso i racconti una forte carica vitale, da un lato dovuta alla lotta per la sopravvivenza, un istinto propriamente fisico e animale, e dall'altro la forza della ragione, contro quella collera rossa che tante volte mise nei guai Standing e i tanti uomini e animali che egli fu. Ci piace pensare che London abbia voluto scegliere questo colore non per un mero richiamo al sangue, ma per posizionare la collera (la quale, dicevamo, è per Darrell un retaggio di un passato violento che si perde nei milioni di secoli e di vite che ci separano da questa condizione) a metà strada fra il bianco intensissimo del vagabondare fra le stelle e l'oscurità, il nero della cella d'isolamento nella quale Darrell trascorse cinque anni consecutivi Ma questo è un argomento che tratteremo più avanti in quanto uno dei punti di contatto più espliciti tra "Il vagabondo delle stelle" e l'ermetismo.

In Ecce homo Nietzsche si ritrae con sgomento dalla possibilità di diventare egli stesso un modello, di avere seguaci che si ispirino a lui: "Non c'è nulla in me del fondatore di religioni, non parlo alle masse; ho paura che mi facciano santo"[20].

In questo Darrell segue il pensatore tedesco, non citando mai nel corso dell'intero romanzo la parola Dio, almeno fin quando lo troviamo nei panni del professore di agronomia californiano e, d'altro lato, parlando come uomo fra gli uomini. Tuttavia rimane il tono di chi sa più degli altri, di chi ha fede nella forza vitale degli esseri viventi e ha voglia di portare alla saggezza e alla salvezza altri uomini con sé, i più meritevoli.

Un ulteriore connessione fra la dottrina nietzcshana e quella di Darrell-Jack è la creazione di un nuovo valore per la vita, che necessita di una distruzione e che comporta sofferenza: Darrell infatti per scoprire la verità e raggiungere le sue esistenze precedenti ha sopportato le più atroci sofferenze e ingiustizie di ogni genere. Ed il passaggio da uno stato di coscienza ad uno, se vogliamo, di iper-coscienza si attua dapprima attraverso un abbandono delle facoltà di movimento, poi col completo oblio, in primis del proprio corpo e poi della propria coscienza, in questo caso di quella di Standing.

E' importante sottolineare le connessioni del London de "Il vagabondo delle stelle" col filosofo tedesco, in quanto ipotizziamo, non possedendo fonti certe che il romanziere americano abbia letto direttamente il Corpus Hermeticum, che una delle fonti di conoscenza o almeno di curiosità riguardo all'ermetismo antico e ad altre forme religiose dell'antichità, sia stata per London la lettura di Nietzsche. Sappiamo d'altronde che nella divisione fra il Dioniso tenebroso e selvaggio e l'Apollo razionale e luminoso, London, e Darrell con lui, si pone in una via di mezzo: legato cioè come pochi altri alla vita ma nel frattempo proteso verso la luce, verso altri luoghi ed altri tempi, vagabondando fra le stelle, cercando di sfuggire a quelle sofferenze che inevitabilmente la vita porta con sé.

Ed ecco finalmente una tematica che penetra il romanzo dall'inizio alla fine. Dal giorno del suo ingresso a San Quentin il professor Standing deve subire molti torti e contemporaneamente molte atrocità delle quali non fatica a trovare i colpevoli: siamo noi, bravi cittadini, che per una effimera sicurezza scegliamo di relegare nelle tenebre, lontani dalla nostra vita e dalla nostra vista quegli individui che riteniamo pericolosi. Oltre alle innumerevoli sofferenze fisiche è dunque l'ingiustizia una delle molle che fa scattare l'esigenza di Darrell di scappare in altre vite, fuggendo la presente. Certo è forte l'istanza di liberazione immediata per chi, come Darrell è costretto a passare anni in una cella d'isolamento, nell'oscurità e spessissimo dentro una camicia di forza; è quest'ultimo oggetto che provocherà la prima esperienza di "morte in vita" che compie il detenuto.

I due temi, sofferenza ed ingiustizia, si accompagnano emblematicamente nell'episodio scatenante la coazione di Standing in quel disumano regime carcerario: vi è una certa ironia nel narratore nel farci sapere che la sua punizione è dovuta ad un oggetto che non esiste, della dinamite di cui il detenuto è accusato di conoscere il nascondiglio. La presenza di questa dinamite era stata però inventata di sana pianta da un altro detenuto, "poeta e falsario", Cecil Winwood, per ingraziarsi le guardie carcerarie organizzando e poi sventando egli stesso un piano d'evasione campato per aria. Fatto sta che fu Standing a pagarne amaramente le conseguenze.

Nel terzo capitolo il narratore enfaticamente afferma: "Il carcere è una scuola di filosofia. Nessun recluso può sopravvivere ad anni ed anni di detenzione senza essere spogliato delle più care illusioni personali o delle più fantasiose elucubrazioni metafisiche. Ci hanno insegnato che alla fine la verità trionfa e che il delitto viene sempre scoperto: bene, questa vicenda dimostra il contrario"[22]. Winwood infatti verrà liberato per buona condotta; ufficialmente il colpevole è Darrell, anche se nella vicenda rappresenta l'innocenza "allo stato più puro".

Per tutto il romanzo Standing sopporterà dapprima le continue angherie e massacranti punizioni, per poi, una volta compreso il meccanismo per difendersene, sfruttarle a proprio vantaggio con l'esperienza più sconvolgente di tutta la sua vita, il viaggio nel suo passato di anima in mutamento, di flusso di coscienze.

Ma vediamo concretamente come comincia questo viaggio: per sopportare meglio le lunghe ore di veglia e di conseguente noia, egli comincia con l'autoipnosi, rinsaldando quel legame con la psicologia di cui già abbiamo parlato. E lo fa con successo: "riuscendo ad addormentare la parte cosciente della mia mente e a ridestare quella subcosciente, lasciandola poi libera di vagare a suo piacimento"[23].

Ma il suo subconscio è ancora qualcosa di indisciplinato, senza legge, e lo porta a saltare da questa a quella immagine senza soffermarsi su nessuna. Afferma però di apprezzare questi primi viaggi senza meta: "Ah, quale caleidoscopio di immagini ed azioni luminose!"[24]. Da dove vengono dunque queste immagini, questi ricordi? "esse erano nella mia mente, e della mia mente stavo ora apprendendo a percorrere i meandri." . Con queste parole si chiude significativamente il sesto capitolo.

In apertura di settimo invece, scoraggiato poiché convinto che col metodo dell'autoipnosi non riuscirà mai ad afferrare in pieno questi ricordi, dichiara: "mi convinsi che solo attraverso la morte avrei potuto riportare in vita con coerente chiarezza le memorie dei diversi io che ero stato un tempo. Ma dentro di me il flusso della vita scorreva rigoglioso. (.) L'amore per la vita è anzi parte della mia stessa natura.". Potremmo anche chiederci chi sia qui veramente a parlare, se Standing o London. E ancora, nel sottostante paragrafo: "E poi venne la morte in vita" .

Ecco che ritorna quel tema dell'annullamento della corporeità attraverso l'abbandono delle sensazioni fisiche, una ad una, facendo letteralmente morire il corpo per liberare la parte subcosciente dell'io e farle ritrovare i propri ricordi, quasi irrimediabilmente compromessi. E questa piccola morte fu provocata dalla camicia di forza nella quale fu costretto a stare per lunghi giorni. Il dolore e l'insensibilità provocate dai morsi di quel terribile strumento di tortura contribuirono precipuamente al raggiungimento della morte in vita, tanto è vero che già dalla prima sua esperienza con la camicia egli esce distrutto: "In meno di un'ora io ero già morto mille volte"[27] e la sofferenza fu talmente atroce da trasformare profondamente quell'uomo; da un punto di vista mentale e morale non era più lo stesso: "La brutale pena corporale che mi era stata inflitta aveva costituito un'umiliazione, un autentico affronto al mio spirito e al mio senso di giustizia." . Ma anche in questo tipo di situazioni uno spirito libero può levarsi impavido incurante della sua sofferenza.

Darrell divideva le segrete del carcere con altri due detenuti, Jake Oppenheimer e Ed Morrell; quest'ultimo suggerì a Standing il metodo della morte nella camicia di forza: "La cosa che devi pensare e a cui devi credere è che il tuo corpo è una cosa, e lo spirito un'altra. Tu sei tu, il tuo corpo è una cosa che non conta, che non vale niente. (.) Lasciato il corpo lasci anche la cella. Mura di pietra e porte di ferro servono a imprigionare i corpi ma non possono rinchiudere lo spirito"[29].

Chi, come Morrell, ha provato estreme sofferenze conosce verità ignote ai più; questo personaggio, omonimo dell'amico che diede a London lo spunto dell'ambientazione del romanzo in un carcere , è certamente un omaggio che l'autore ha voluto fare all'amico. Il Morrell personaggio infatti è un grande e leale amico per Darrell, così come lo è Jake Oppenheimer, ma al contrario di quest'ultimo è sempre pronto a credere ai ricordi delle passate vite di Standing e, come abbiamo appena visto, è soprattutto l'ispiratore di queste esperienze.

Attraverso la morte del corpo allora si può giungere alla vita che scorre ininterrottamente e questo tema è presente in tutto il Corpus Hermeticum. Nelle note alla sua edizione del Poimandres Scarpi sostiene che in tutto il Corpus il motivo della perdita della sensibilità fisica è condizione primaria per la conoscenza di Dio[31]. Ma non si tratta di un'istanza solamente ermetica; si pensi, infatti, alle esperienze mistiche dei Padri della Chiesa nel deserto, o a quelle dei mistici cristiani come Santa Teresa d'Avila o Santa Caterina da Siena, o ancora alle pratiche sciamaniche, nelle quali la sensibilità fisica è spesso alterata dall'uso di sostanze psicotrope.

Anche Ermete nelle primissime righe del Poimandres si trova nella medesima condizione: "mentre i miei sensi erano intorpiditi, come accade a chi piomba in un pesante sonno"[32]. Darrell, come Hermes, ha i sensi intorpiditi e piomba in una trance simile ad un pesante sonno. Sappiamo che anche i sogni ed i miti orfici sono presenti in tanta parte delle religioni e filosofie antiche e tardo-antiche e spesso da queste premesse scaturiscono delle visioni rivelatrici: si pensi, come fa notare Scarpi, al Simposio di Platone , nel quale il sonno provocato dal vino è premessa alla visione della nascita di Eros, oppure alle rivelazioni che Yahvé, nella Bibbia, compie grazie ai sogni (ad esempio la visione della trasfigurazione del Cristo alla quale assistono Pietro, Giovanni e Giacomo).

Darrell Standing, come un moderno Ermete, ha varcato la soglia che lo separava dalla verità e adesso è finalmente pronto per un viaggio infinito e quasi indicibile: risalirà la catena delle sue innumerevoli vite e tornerà per raccontarlo a noi, che ci crediamo ancora mortali; allo stesso modo fece, quasi due millenni prima, Ermete Trismegisto, il quale varcò la barriera del proprio essere fisico per diventare puro spirito e conoscere e contemplare Dio, per poi tornare a raccontare la propria esperienza a coloro che ne avevano bisogno più di tutti, a quelli che avevano perso la speranza della salvezza.

In questo capitolo cercheremo di dare una breve e, vista la sede delle nostre riflessioni, non esaustiva sintesi delle principali questioni della complessa dottrina ermetica, delle sue origini, di come è giunta sino a noi, dei suoi rapporti con lo gnosticismo. Andremo in seguito a rintracciare nel testo quei tanti richiami a tale dottrina e allo gnosticismo in generale che Jack London dimostra di inserire consapevolmente nel testo.

Innanzitutto il testo che ha portato fino a noi la parola di Ermete Trismegisto: il Corpus Hermeticum è una raccolta di testi la cui origine non è stata ancora accertata[34]. La grande maggioranza degli studiosi ritiene che i testi siano stati composti in ambiente greco-alessandrino da più autori. Per quanto riguarda la datazione, i pareri sono parecchio discordi, con ipotesi che vanno dalla fine del primo secolo d. C. a tutto il terzo secolo d. C. ; ogni trattato del Corpus poi sarebbe da datare separatamente, poiché concordi sono gli studiosi nel considerarli non solo composti da più autori e, presumibilmente, in luoghi diversi, ma anche in tempi profondamente distanti fra loro.

La problematica legata alla ricerca delle origini degli scritti ermetici è stata oggetto di ampia dissertazione e dibattito, sovente molto acceso, da parte degli studiosi. Le opere in questione sono il Corpus Hermeticum e l'Asclepius. La prima è una raccolta di diciotto trattati (è andato perduto il quindicesimo), della seconda, attribuita per secoli ad Apuleio, attualmente siamo in possesso della traduzione latina del testo greco, anch'esso andato perduto.

Entrambe le opere, certamente provenienti dall'Egitto romano, risalgono, nella loro materiale stesura, ai primi secoli dell'era cristiana. Qualche autore fa addirittura risalire alcuni trattati del Corpus al settimo ottavo secolo dopo Cristo[35] e ciò malgrado il Festugière faccia ascendere il primo scrittore di tradizione ermetica all'egiziano Bolo Democriteo di Mende (200-190 a. C.) . Non si conoscono gli autori, comunque gli studiosi sono in linea di massima concordi nell'affermare la redazione dei vari trattati in epoche e luoghi diversi.

La tradizione fa comunque risalire l'intera opera ad un personaggio leggendario, Ermete Trismegisto.

Gli studiosi sono pressoché concordi nel definire questa figura come il prodotto di una sintesi, o meglio una delle molte confusioni, frequentissime nei primi secoli di ellenizzazione, che sovrappose la figura greca tradizionale del dio Hermes a quella egizia di Toth. Hermes è tradizionalmente il messaggero degli dei, ad esempio in Omero; ma anche il dio dei pastori e dei viandanti: forte è la sua carica di "mobilità", e, in quanto dio che indica la strada, era visto come mediatore tra dèi e uomini. Inoltre, era una figura eminentemente popolare, in quanto percepita come vicina al popolo degli umili. Sin dall'età arcaica si distingue dagli altri dèi per la sua furbizia e la sua scaltrezza, ma , da amico degli uomini, divenne ben presto l'inventore dei beni culturali, inizialmente di quelli musicali[37].

Con Platone Hermes diviene principalmente interprete, mediatore, ma anche astuto ed ingannatore: il potere del suo Logos è grande. In questo modo la divinità, mediatore ed araldo degli dèi, diveniva l'interprete della parola divina e, più in generale, l'inventore del linguaggio e di ciò che vi si riconnette.

Successivamente diverrà l'inventore della parola articolata, della scrittura divina, del culto, dell'astronomia, della musica, e, in primo luogo, dell'arte di interpretare.

Analogamente, nella religione egizia tradizionale, Toth è l'inventore della scrittura, poiché era entrato a far parte del ciclo mitologico di Osiride, divenendone il segretario e lo scriba e, contemporaneamente, di tutte quelle arti e scienze che dipendono dalla scrittura: la magia ad esempio, poiché era in grado di pronunciare le formule magiche, ma anche la medicina, l'astronomia, l'astrologia, l'alchimia e la teosofia. Altra sua caratteristica era il forte legame col sole, la luna e la luce in generale[38].

Si capisce allora la straordinaria somiglianza con la figura dell'Hermes greco. Non stupisce pertanto che in un'epoca così segnata dalle commistioni culturali e dai sincretismi concettuali, con la conseguente confusione che ne deriva, le due figure si mescolarono, formando la divinità greco-egizia di Ermete Trismegisto, cioè tre volte grande.

Questo fu uno dei molti fenomeni di cui fu responsabile l'ellenizzazione.

Sarebbe troppo complesso (e inoltre svierebbe dal nucleo della questione) addentrarci in quel grande rivolgimento storico e culturale che prende il nome di ellenizzazione. Basterà ricordare alcune questioni fondamentali.

Quando Alessandro Magno impose la propria dominazione sull'Egitto avviò un fenomeno che per secoli condizionò la cultura dei popoli dell'area mediterranea. Lo scambio di idee, valori, concetti, fedi, che avvenne, risultò molto complesso e assolutamente non lineare. La lingua greca divenne sicuramente lingua franca e lingua ufficiale della cultura, ma questo fu uno dei pochi fenomeni a direzione univoca. Scrive Scarpi, nell'introduzione succitata: "lo spettacolo che l'ellenismo offre allo spettatore moderno è costituito da un processo di reinterpretazione e reintegrazioni di forme culturali, religiose e politiche di diversa matrice, che si riplasmano in una visione cosmopolita del mondo, accompagnata da aspirazioni universalistiche sul piano religioso."[39].

Un diverso orizzonte politico e sociale incise sulla concezione della vita e del divino dei popoli dell'area mediterranea in maniera davvero travolgente. Si trattava di convivere sotto la stessa guida con popoli e culture lontanissime dalla propria: ciò provocò un vero e proprio smarrimento negli uomini e nelle donne che vissero questo processo[40]. Sorsero molte risposte a questa grave crisi dei valori. Risposte tendenti certamente all'universale, ma allo stesso tempo che offrivano una qualche forma di salvezza all'individuo e che, in ultima istanza, erano tese alla felicità. Si pensi alle dottrine filosofiche del mondo greco come lo stoicismo, il cinismo, o l'epicureismo, le quali fornivano un'ancora di salvezza a uomini che ormai si sentivano in balia di forze troppo grandi per loro, cioè il Destino, la Necessità, la Sorte.

La religione dunque diviene un baluardo contro lo smarrimento dei tempi e si modifica a sua volta; gli dei tradizionali vengono messi da parte: dimenticati poiché a loro volta hanno scordato gli uomini, non se ne occupano più. Un dio deve essere principalmente un salvatore. Scarpi[41] sottolinea questa valenza di salvezza citando il caso di Asclepio, strettamente legato al Corpus Hermeticum in quanto protagonista di molti dei trattati ermetici e dell'ultimo in particolare, che porta il suo nome e la cui storia corre parallela agli altri. Nella religione tradizionale Asclepio è il dio medico, ora diverrà il Salvatore. Salvatore di anime, ben inteso.

Contemporaneamente a queste manifestazioni a carattere salvifico emerse una serie di istanze di tipo elitario, in base alle quali la stessa salvezza non era più universale ma individuale, poiché pochi eletti riusciranno a raggiungerla.

Dunque tutto il periodo lo abbiamo definito come pervaso da uno spirito di sintesi dei diversi apporti: ogni manifestazione della cultura, ma anche della religione va incontro ad un possente fenomeno di "transculturazione" -dalla definizione di Scarpi- "nel corso del quale le diverse civiltà, riunite prima da Alessandro e poi da Roma, si integrano nelle forme culturali, se ne riappropriano e le riplasmano."[42].

L'ermetismo è allora ormai comunemente riconosciuto come la sintesi della teologia egiziana tradizionale mediata però nei suoi aspetti più estremi dalla rivisitazione che ne fece il mondo greco. E' più o meno la stessa situazione che potremmo osservare per le società postmoderne: la crisi che si è aperta con la caduta delle ideologie e delle fedi tradizionali, e la presa di coscienza di vivere in un mondo globale e multiculturale, sta portando alla scoperta (e, in alcuni casi riscoperta) delle religioni di tipo orientale o orientalizzante. Pensiamo ad esempio alla poderosa esplosione del buddismo, del confucianesimo, della new age[43].

L'Egitto, che emanava il fascino dei suoi antichi e misteriosi culti, era divenuto una fonte privilegiata per quanti non sentivano più come proprie le forme di culto tradizionali. La dottrina ermetica si richiamava anch'essa alle antiche forme di culto egizie, in quanto dotate di un prestigio rimasto pressoché intatto per secoli nel mondo greco. Ma, scrive Scarpi, "è difficile individuare in essa gli elementi genuinamente egiziani, anche se sarebbe suggestivo riconoscere nel Corpus Hermeticum   una sintesi dell'antica teologia egiziana" . E di concordanze ce ne sarebbero, anche se non possiamo addentrarci nello specifico.

D'altro lato infatti l'ermetismo deve la sua nascita a plurimi apporti del mondo greco, delle dottrine platoniche, neoplatoniche, aristoteliche, stoiche ed in particolar modo gnostiche . Non possiamo dimenticare poi le teorie astrologiche e le pratiche teurgiche: le prime sono quelle su cui si basa il sistema planetario in sette sfere che è presente nel Poimandres; le seconde le possiamo ricondurre ad un apporto specificamente egiziano, che talvolta sforava in pratiche "magiche" .

Lo gnosticismo, lungi dall'essere il prodotto, né tanto meno l'unica fonte d'ispirazione dell'ermetismo, presenta tuttavia molti aspetti in comune con tale dottrina e, soprattutto, ha contribuito in maniera determinante alla diffusione nel corso dei secoli dei suoi principali e più eminentemente popolari concetti.

Le due dottrine si pongono tuttavia in maniera speculare di fronte alla grave crisi prodotta dall'abbandono delle religioni e filosofie tradizionali.

Nella gnosi, la conoscenza va intesa non come una ricerca di meri dati intellettuali, o come un'accettazione dogmatica di idee e concetti astratti, ma come la sperimentazione personale delle Leggi che regolano il Cosmo, attraverso la conoscenza di se stessi.

Concezione fondamentale dei trattati raccolti nel Corpus Hermeticum è l'affermazione che la vita si presenta vana se non persegue la trascendenza, la realizzazione intima dell'Essere, l'unione con la parte divina insita nell'uomo e nella natura. Il metodo della cosiddetta scienza consiste nello studio dell'universo, cioè di tutto quanto esiste, e che viene conosciuto "in modo oggettivo", utilizzando lo strumento della meditazione che, tramite il risveglio della coscienza, permette di osservare e comprendere direttamente le leggi che regolano la creazione ed i fenomeni. L'incipit del Poimandres è indicativo: "Un giorno il mio pensiero si era tutto concentrato sugli esseri e tutto il mio intelletto era levato in alto"[47].

La vita come conoscenza dell'essere: è proprio questa l'esperienza che proverà Darrell quando si sarà liberato del peso inutile del suo corpo e avrà concentrato tutto il suo spirito verso l'alto.

Un'altra concordanza del romanzo con le concezioni ermetiche si deve alla assoluta importanza che la psicologia assume in essa: già abbiamo visto come Darrell conosca questa disciplina, anzi la sfrutti per giungere alla propria estasi; per gli ermetici poi la psicologia, unitamente alla fisiologia, presenta cinque livelli fondamentali: intelletto, movimento, emozione, istinto ed eros. Sulla loro interazione si basano tutti i comportamenti umani e dal loro scorretto funzionamento emergono le patologie che tanto affliggono l'umanità. Darrell di sicuro presenta uno scompenso di tutti e cinque questi livelli: il suo intelletto è forte, ma non ancora libero prima di iniziare i suoi viaggi temporali; il movimento è chiaramente impedito fino a quando non vincerà le barriere del suo corpo e vagherà fra le stelle; le emozioni che prova nella sua vita di professore detenuto in cella di isolamento sono fortemente negative, ma nel momento in cui rivive i ricordi delle proprie passate esistenze, traspare dalla pagina scritta un forte senso di serenità; l'istinto è poi forse identificabile con quella collera rossa di cui parlava Standing e sin dall'inizio sappiamo che tutti i suoi guai sono dovuti ad essa, e mano a mano scopriremo che in tutte le sue esistenze è stato questo retaggio della nostra vita animale a compromettergli l'esistenza; per quanto riguarda l'eros dovremo rimandare la questione, poiché essa, nel testo, si rivela di primaria importanza: possiamo anticipare che la reclusione di Darrell è dovuta ad un omicidio passionale che il professore ha commesso. Al contrario, la sua condanna a morte, che ufficialmente è dovuta ad aggressione sappiamo invece che si deve alla sua debolezza, non alla sua forza, proprio a sottolineare il possente contrasto fra ciò che era e l'uomo che è divenuto dopo aver visto, contemplato e vissuto l'infinito.

L'episodio è tragico e comico allo stesso momento: in una delle rarissime occasioni di uscire dalla buia cella che lo aveva rinchiuso per anni ed anni, per potersi trasferire in un'altra, sede di un interrogatorio, Standing, spaesato ed atterrito, comunque non più abituato alla luce piena del sole, in piena crisi di panico, sbracciando per tenersi in un precario equilibrio, colpisce per sbaglio una guardia carceraria, la quale ufficialmente perde sangue dal naso[48].

L'assurdità della condanna a morte per aggressione non fa che acuire la sensazione di profonda ingiustizia che prova il lettore: condannato alla pena capitale per un gesto che non aveva alcuna intenzione di commettere e che nemmeno si è reso conto di fare, perché accecato. Di passaggio ricordiamo ora la ferma contrarietà di Standing (e naturalmente di London) a qualsiasi tipo di pena di morte, non soltanto quella per impiccagione alla quale è destinato e che lo vede artefice di un'esplicita critica, soprattutto nei confronti della società cosiddetta civile, che demanda ad altri il gravoso compito di porre fine all'esistenza di una persona, anche se temporaneamente.

Tornando allo gnosticismo e alle sue analogie con l'ermetismo e ai suoi echi nel romanzo, vediamo su cosa basa la teoria conoscitiva di questa filosofia.

Abbiamo già detto di come la filosofia gnostica utilizzi il metodo dell'introspezione, che conduce alla conoscenza diretta. La conoscenza del fenomenico, cioè dell'apparente, può essere raggiunta attraverso i cinque sensi; la conoscenza essenziale, quella del noumeno, può essere invece penetrata solo tramite l'intuizione, con i sensi interiori, con la ragione. Ad essa si deve ricorrere quando si contemplano i misteri della vita e della morte[49] : ancora una volta forte è il parallelo con l'esperienza che vive Darrell. Questo è ciò che ha esattamente fatto il vagabondo delle stelle: ha voltato le spalle alla realtà fenomenica in cui si trovava per volgere lo sguardo e l'intelletto verso i misteri della vita e della morte e le trascendentali leggi del Cosmo.

Anche la mistica gnostica e, parallelamente quella ermetica, si possono ritrovare all'interno del testo. Esse infatti miravano entrambe al ricongiungimento dell'uomo con l'essere divino che abita le profondità della sua anima. Ciò implica l'annullamento della coscienza (in questo caso dell'ego) mediante il procedimento dell'autoconoscenza.

Anche la mistica de "Il vagabondo delle stelle" potrebbe essere riassunta come profonda e costante ricerca della saggezza e del divino che alberga nell'intimo di ogni individuo.

Nel precedente capitolo abbiamo poggiato rapidamente lo sguardo su alcune elementari questioni relative a quel grande crogiuolo di idee, dottrine e opere cui generalmente diamo il nome di ermetismo.

Ora andremo a scavare nel testo, per ricercare le basi letterarie sulle quali si fondano queste riflessioni.

Abbiamo lasciato Darrell Standing sfiancato dai patimenti cui lo costringeva la reclusione in cella d'isolamento; le torture cui era sottoposto lo fiaccavano sia nel corpo che nello spirito: da un lato la camicia di forza era diventata una seconda pelle, una sorte di seconda prigione che il destino e l'ingiustizia gli avevano legato forte attorno al corpo, già di per sé prigione. D'altro lato l'isolamento e l'assoluta impenetrabilità della cella lo avevano scagliato in un inferno, nel quale anche il suo spirito era prigioniero, impedito persino di comunicare con altri spiriti e per ciò stesso costretto a misurarsi con se stesso e poi con i suoi molti io.

Ricordiamo la gioia di Darrell nel momento in cui scopre che esiste la possibilità di comunicare con qualcuno seppure mediante un codice inventato dai due suoi compagni di sventura, Morrell ed Oppenheimer[50]. Scrive London in apertura di quinto capitolo : "In principio la solitudine era grandissima, nella mia cella d'isolamento, e le ore lunghe. (.) "altro non potevo fare che restarmene disteso a pensare, pensare."

Le riflessioni che compie Standing, sono quindi provocate dall'impossibilità di rivolgere il proprio pensiero altrove. E' dentro di lui che si consuma il dramma della sua morte e rinascita. Molto spesso nel corso del romanzo London-Darrell utilizza una serie di ossimori in cui è celata una delle chiavi di lettura del romanzo ed uno dei motivi ricorrenti della propria metempsicosi.

Si tratta di tutte quelle espressioni in cui ricorre alla contrapposizione fra la vita e morte, una lotta in cui, come vedremo, sarà la morte ad essere sconfitta. Pensiamo ad esempio a quante volte nel testo egli sfrutti locuzioni come: "morti viventi", per descrivere se stesso e i suoi due amici reclusi, oppure "tomba dei viventi", per definire le celle di isolamento nei sotterranei del carcere, o ancora "morte in vita", quando vuole raccontare la sua esperienza di abbandono del corpo e della coscienza del suo io presente. A nostro avviso questa compenetrazione fra concetti così contrari e solitamente complementari ma che, nella realtà, si escludono a vicenda, vuole rimarcare il pensiero che sta alla base della concezione della vita di London, e che collima grosso modo con la nozione fondamentale presente nelle fonti ermetiche, della esistenza di due nature all'interno dell'uomo, quella mortale del corpo e quella eterna, vitale, dello spirito.

Già in chiusura di quarto capitolo Darrell, in uno scoppio d'ira ed esaltazione contro le istituzioni che hanno provocato la sua condanna a morte, sentenzia: "Poveri idioti! Come se il rozzo marchingegno di una forca e di una fune potesse soffocare la mia immortale esistenza! Su questa splendida terra io continuerò a muovere i miei passi, sì, e lo farò mille e mille volte, nella piena integrità del mio corpo"[52].

In questa frase è già racchiusa molta parte dei significati del romanzo: la materia, in questo caso la fune che lo soffocherà, può interrompere soltanto la sua vita come Darrell Standing, ma il suo spirito, che non ha nome, tornerà sulla terra cui, non a caso dà l'epiteto di splendida, a rimarcare la propria forte carica vitale e voglia di vivere. Abbiamo accennato nel primo capitolo a quanto, nella propria carriera di scrittore, London avesse lavorato al proprio stile per renderlo il più possibile epico e nello stesso tempo realista, vivo, materiale.

E questo romanzo sicuramente pone a tema la realtà della materia come e forse in modo più rilevante rispetto ai romanzi e racconti precedenti: si pensi alle crude descrizioni che lo scrittore ci offre del regime cui è sottoposto Darrell, oppure all'episodio nel quale combatte al chiarore della luna i duelli che poi risulteranno fatali, nella prima delle esperienze che rivive con la mente.

Allo stesso tempo però, Jack London dissemina nel testo riferimenti più o meno velati alla sconfitta cui inevitabilmente è destinata la materia e, con essa, la morte e tutte quelle cause di sofferenza insite nella sua natura. Si pensi al corpo, all'ingiustizia, alla necessità, alla stessa sofferenza, all'oblio, al buio, all'eros.

Si è già visto come Darrell, nel raggiungimento della propria estasi si sia liberato di quanto di materiale era presente in lui, quindi del suo corpo, facendolo letteralmente morire poco alla volta. Questa immagine, così simile all'estasi di Ermete, è emblematica della sconfitta della prigione corporea che da sempre racchiude il suo io sulla terra: Darrell spezzerà i limiti dello spazio e del tempo vincendo tutte le barriere che la condizione materiale impone agli esseri viventi, prima fra tutte la morte.

Ma per fare questo egli ha dovuto sconfiggere l'oblio che gli annebbiava la mente.

Più volte nel romanzo si accenna al fatto che il privilegio di Darrell non è dovuto alla condizione in cui è entrato nel carcere, bensì alle particolari ed estreme condizioni nelle quali si andava consumando il suo martirio. Nel capitolo 11, infatti, Standing afferma: "Mai nessuno si era trovato in condizioni mentali e spirituali più consone a un esperimento del genere. Tutto ciò era dovuto alla mia debolezza estrema. Questo è chiaro. Ma c'era di più. Da tempo mi ero addestrato ad ignorare il dolore. In aggiunta a ciò, dentro di me non nutrivo né dubbi né paure. Avevo l'impressione che la mente non ospitasse altro che una fede sconfinata nei propri poteri."[53]

Torneremo più avanti sulla questione della fede.

Per mezzo dell'annullamento delle facoltà somatiche proprie di ogni essere corporeo, il suo Intelletto ha ricevuto la capacità di scrutare se stesso e di tornare a quell'Uno di cui parla Ermete nel Corpus Hermeticum.[54] Nel discorso al figlio Tat (quarto trattato) egli proclama:

"Tutti coloro dunque che hanno fatto attenzione alla proclamazione e che sono stati battezzati tramite questo battesimo dell'intelletto, tutti questi sono stati resi partecipi della conoscenza e sono diventati uomini perfetti" (4) Mentre coloro che rimangono nell'ignoranza sono gli uomini puramente razionali: "Le sensazioni di questi uomini sono simili a quelle degli animali senza ragione, il loro temperamento è soggetto all'ira e alla collera, non ammirano le cose degne di contemplazione, sono rivolti solo ai piaceri e agli appetiti del corpo e credono che per queste cose l'uomo sia stato generato."[55]

Certamente nel romanzo di Jack London non ritroviamo l'idea di una qualsiasi ritualità che consenta un passaggio diretto alla conoscenza come può essere quella del battesimo; in ogni caso abbiamo già sottolineato le prove e le sofferenze che il nostro protagonista deve affrontare e che supera proprio grazie alla sua forza spirituale. Per il resto non possiamo che andare con la mente alla "collera rossa" di cui parla Darrell Standing. E' forte la carica negativa che egli esprime su questo istinto carnale e primordiale: non si dimentichi che la sua prigionia è dovuta ad un omicidio e ugualmente che nelle sue vite precedenti tantissimi sono i riferimenti a questa ira, questa furia animale.

Nella prima esperienza "completa" di ritorno alle sue vite anteriori, ne abbiamo subito un saggio.

Lasciamo per un attimo da parte le modalità e il fondamentale racconto delle sensazioni che si accompagnano a questa salita verso le stelle. Il suo spirito si sveglia in un letto che Darrell non ha mai visto, parlando una lingua, il francese del seicento, che non possiede e con tutto il bagaglio di esperienze e ricordi che può appartenere ad

un ricco nobile ed abile spadaccino. La storia è un affresco su quel mondo di intrighi politici che caratterizzava l'epoca. In questo scenario il nuovo narratore e protagonista si muove con abilità. I suoi ragionamenti sono tesi all'azione e, quando ne avrà l'occasione, attuerà concretamente i suoi propositi di vendetta e "soddisfazione": "E sputò sull'erba davanti ai miei piedi. A questo punto la collera si impadronì di me e mi sopraffece, quella che chiamo la collera rossa, un desiderio prepotente, assoluto, di uccidere e distruggere." E, più avanti, "Vedevo rosso, pensavo rosso."[56] La cosa però gli risulterà fatale, così come in molti altri casi persi nelle sue esistenze.

Si pensi ora alla storia di Adam Strang, un'altra reincarnazione di Darrell, il marinaio che proprio grazie alla sua forza sovrumana si guadagnò e alla sua capacità d'improvvisazione si guadagnò la fiducia in una delle corti coreane, in seguito ad un naufragio (nel quale, per inciso, leggiamo una citazione di alcuni guai di navigazione, contemplati dalle biografie di London). Per una serie di intrighi di palazzo Strang, (che nel frattempo, non a caso, si è guadagnato l'appellativo di Yi Yongik, il Possente) viene espropriato di tutto, su ordine del suo acerrimo e potentissimo nemico, ma non può essere ucciso né aiutato da nessuno in alcun modo, perché le sue sofferenze siano perpetue. Per quarant'anni il Possente non avrà altro che la sua amata e coverà per sempre in sé il desiderio di vendetta. Quasi alla fine dei suoi giorni egli avrà, e sfrutterà, la sua unica occasione, strozzando a mani nude colui che odia, ma ancora una volta questo lo porterà alla morte[57].

Per lo stesso motivo, si vada con la mente all'altra personificazione dello spirito di Darrell, quello di Ragnar Lodbrog, il legionario dell'esercito romano di origine danese che a Gerusalemme assiste alla Passione di Gesù Cristo ma che comincia il resoconto della sua vita dall'infanzia: essa è stata segnata fin dal principio da molte violenze e brutalità in special modo durante l'infanzia. Lo scaltro e forzuto danese riuscirà, con l'aiuto del corpo, a sfuggire e sopravvivere alle avversità, tremende, che permeano la precaria vita di una società fondata sulla forza materiale, e in linea generale sul corpo.

Un'atmosfera aspra e cupa domina tutto il racconto nel racconto: "Lì, negli acquitrini, vivevano uomini allo stato brado e senza padrone, servi fuggiaschi, fuorilegge, tutta gente alla quale si dava la caccia allo stesso modo in cui si cacciano i lupi."[58]. Questo testimonia la assoluta animalità di questo stato in cui si è trovata l'anima di Darrell Standing. Già a quei tempi però quest'anima si trovò a confrontarsi con una popolazione come quella ebraica, la quale poneva in massima attenzione la parte spirituale dell'uomo, e allo stesso tempo con una serie di idee e conoscenze che la fecero avvicinare a Dio.

Ma, parlando di Israele, egli così esplicita il proprio atteggiamento nel riguardo degli ebrei: "Attraversando il paese in lungo e in largo, potei verificare di persona che gente strana fossero gli ebrei nel pensare a Dio sempre e comunque. Era il loro tratto distintivo. Invece di lasciare queste faccende ai sacerdoti, ognuno di loro diventava sacerdote"[59]. Ancora una volta notiamo come l'anima di Darrell, nelle sue precedenti reincarnazioni, non raggiunge mai la pienezza di conoscenza e fede che gli è propria nel momento in cui Darrell scrive le sue memorie.

Dimostrando di avere sconfitto questi errori, Darrell riesce a superare l'ira, la collera, il corpo, il mondo, la materia. Attraverso una superiorità intellettuale e per ciò stesso spirituale. Attraverso un ricongiungimento con la sua vera essenza profonda di immortalità.

Nelle numerose prove di sopportazione che ha dovuto affrontare nel corso della sua lunghissima esistenza e che ora deve superare in carcere, nessuno dei suoi precedenti io, infatti, si comporta allo stesso modo.

La camicia di forza che soffoca il corpo e lo spirito, l'isolamento, le ingiustizie, sono costrizioni materiali che la sua forza spirituale sconfiggerà. E il protagonista non mancherà di sottolinearlo. Nel decimo capitolo ad esempio egli propone al direttore del carcere, principale artefice delle sue torture, una scommessa: se dopo dieci giorni consecutivi di camicia di forza egli ne uscirà con un sorriso, il direttore darà tabacco e cartine ai due amici di Standing, Morrell e Oppenheimer. Segue un significativo dialogo: "«Sembri più sicuro del fatto tuo» ribatté il direttore". Non si dimentichi che inizialmente Standing è angosciato dalla camicia di forza.

"«Perciò ho fatto questa proposta» risposi. «Mi diventi credente,vedo» sogghignò. «No» fu la mia risposta. «Solo, ho dentro di me tanta di quella vita che non potrete mai venirne a capo. Datemi cento giorni di camicia di forza se volete, ne uscirò col sorriso sulle labbra.» «Scommetto, caro Standing, che dieci giorni saranno più che sufficienti» «Pensatela come vi pare» risposi, «Avete fede nella vostra opinione? Se così è, risparmierete anche i dieci centesimi dei due pacchetti di tabacco. Comunque sia, di che cosa avete paura?». «Dammi due centesimi e quella faccia che hai te la cancello a calci ora, sul momento» ringhiò. «Fate pure». Il tono della mia voce era serafico fino all'impudenza. «Colpite con tutta la vostra forza, e vedrete che mi resterà una porzione di faccia sufficiente per sorridere. Intanto, mentre vi decidete, pensate alla mia proposta»."[60] Colpisce soprattutto in questa fase la risolutezza delle decisioni che d'ora in avanti prenderà. Una risoluzione dovuta alle sue certezze, alla sua fede: "Oggi so che questa fede io l'avevo, che era essa a sostenermi. Credevo in quello che mi aveva detto Morrell, credevo nel dominio della mente sul corpo, e questa fede mi diceva che nemmeno cento giorni di camicia di forza mi avrebbero finito."

«Dammi due centesimi e quella faccia che hai te la cancello a calci ora, sul momento» ringhiò. » risposi, «Avete fede nella vosProfondo è dunque il cambiamento fra il vecchio e il nuovo Darrell. Grazie alla sua fede nel dominio della mente sul corpo egli sconfigge le sofferenze della carne e risale l'erta via verso l'infinito. Per raggiungere la sua nuova condizione e per diventare un uomo nuovo, diverso da ciò che era o è mai stato, Darrell ha annullato la sua dimensione fisica per poter proiettare il suo spirito dapprima tutto verso se stesso e, di lì, al di fuori, all'infinitamente grande, all'Uno.

Ermete, nel nono trattato, dice ad Asclepio: «Tuttavia l'uomo che teme Dio saprà sopportare tutto, perché ha preso consapevolezza della conoscenza. Per un tale uomo, infatti, tutte le cose sono buone, anche quelle che sono dei mali per gli altri. Se è oggetto di insidie, pone tutto in rapporto alla conoscenza e, solo fra tutti gli uomini, volge i mali in bene» (4)[62]. Sembra la descrizione dello stato nel quale si trova il nostro protagonista: egli ha preso consapevolezza della conoscenza, poiché ha davvero conosciuto in prima persona; allo stesso tempo, fatto oggetto di insidie, si è tutto rifugiato nella mente e di seguito nello spirito, fino a giungere alle stelle.

Nel ventunesimo e penultimo capitolo Darrell ci rivela la vera causa della sua morte ma non solo. Fa molto di più. Comincia citando Pascal: "Nel considerare il cammino dell'evoluzione umana, la mente filosofica dovrebbe guardare all'umanità come ad un singolo uomo e non come ad una indistinta massa di individui". Come a dire: considerate me quell'uomo collettivo, quell'uomo archetipico, e, azzardando un poco, consideratemi come Anthropos, il primo uomo che si è fatto carne.

Tanto è vero che, poco più avanti, dichiara: "Ciò che Pascal intravide con l'occhio del veggente, io l'ho vissuto. (.) Ripeto: io ho visto quell'uomo di cui parlava Pascal. Stretto nella camicia di forza, ho vissuto lunghe ore di trance ipnotica e intravisto le vite di migliaia di uomini, che sono la storia stessa dell'essere umano mentre ascende per gradi, faticosamente, un'epoca dopo l'altra."[63] Vale a dire: io sono stato quell'uomo, e per certi versi lo sono sempre stato.

In seguito Darrell dice: "Se guardo all'immensità della mia storia passata, mi accorgo di aver subito l'influsso di molte e splendide cose, prima fra tutte l'amore per la donna, l'amore dell'uomo per la donna che gli somiglia. Vedo in me, nell'uomo unico, colui che ama, che ha sempre amato. (.) A volte penso che la storia dell'uomo sia la storia del suo amore per la donna. (.) Nelle diecimila esistenze che ho vissute, nelle forme che ho prese, l'ho sempre amata e tuttora la amo."[64]

Sembra che London qui voglia far identificare ai suoi lettori (come prima aveva fatto per l'uomo), la donna individuale con una donna collettiva e anch'essa immortale. Ma c'è di più. Successivamente difatti questa donna di cui parla assume tutte le caratteristiche che nell'ermetismo e in particolare nel Poimandres sono proprie della Natura. Andiamo nel dettaglio:

"conosco la natura della donna: ne so le debolezze, le malignità, l'impudicizia, la bassezza, il suo avere i piedi per terra, senza mai levare gli occhi alle stelle"[65]. La donna sembra assumere una connotazione fortemente negativa, in relazione principalmente al suo indissolubile legame con quanto di materiale c'è nel mondo.

Ella infatti provoca nell'uomo gli effetti più stranianti, lo attira come l'ago della bussola è attirato per forza di cose dal polo.

Ormai appare chiaro il parallelo che London, e Darrell per lui, traccia fra la donna e la Natura, e il riferimento alla colpa che ha portato Anthropos alla caduta primordiale e all'allontanamento da Dio.

E' noto infatti che l'eros, nell'ermetismo tout court e in particolare nel Poimandres, è considerato insieme alla curiosità e al narcisismo la causa principale della colpa dell'uomo: dopo avere squarciato l'involucro delle sfere ed essersi sporto a guardare in basso "mostrando alla natura inferiore la meravigliosa forma di Dio. Come vide Anthropos, in possesso di una bellezza per la quale non si dà appagamento, di tutta l'energia attiva dei governatori e della forma stessa di Dio, la natura sorrise d'amore, perché nell'acqua aveva visto riflessa l'immagine della splendida forma di Anthropos, e sulla terra la sua ombra. Ma anch'egli vide riflessa nell'acqua la forma a lui simile, che si trovava nella natura, se ne innamorò e volle abitarvi. La natura allora accolse l'amato, gli si avvolse tutta attorno ed essi si unirono in un amplesso, perché erano infiammati d'amore."[66]

Per questo motivo l'uomo assume la sua duplice natura di spirito e corpo; per questo amplesso con la natura che poi per milioni di anni si è ripetuto e va ripetendosi uguale nella ricerca dell'amore e nell'amore carnale.

Darrell come Anthropos; la donna come la Natura, la carne, la materia. Non a caso il narratore poco più avanti dice: "Anche se ha fatto risuonare al mio orecchio un falso canto, tenendomi con i piedi legati alla terra, richiamando sempre su di sé il mio sguardo che vagabondava fra le stelle, lei, la preservatrice della vita, la Madre Terra, mi ha donato giorni e notti e interi anni straordinari."[67]

Madre Terra quindi, che tiene l'uomo coi piedi piantati sul mondo materiale.

E poi arriva la dichiarazione che aspettavamo dall'inizio del romanzo: fino a questo punto ancora non sappiamo la vera causa della prigionia di Darrell Standing. Adesso veniamo a sapere che anche lui, come Anthropos, ha perso la libertà a causa della donna, della carne, della materia e dell'amore verso la parte materiale che c'è in ognuno di noi: "Io sono morto d'amore" - in quanto Anthropos - "e, come vedrete, sono morto a causa dell'amore. (.) Non è stato per futili motivi che nel laboratorio dell'università della California ho ucciso il professor Haskell. Era un uomo, io ero un uomo, e c'era una bella donna. Capite, ora? Lei era una donna, io ne ero innamorato, e su di me gravava il retaggio di tutti gli amori, fin dai tempi della giungla nera e pervasa di grida, prima ancora che l'amore esistesse e l'uomo fosse l'uomo."[68]

Antica è quindi questa bramosia, e coincidente con la caduta sulla terra; anzi, ne è in ultima istanza la causa.

"Il mio desiderio di non fermarmi mai mi ha sempre spinto sulle strade della luce, ma da questi sentieri celesti sono sempre ritornato a lei, alla sua eterna figura, la donna, la donna unica, perché avevo bisogno del suo abbraccio. Stretto fra le sue braccia ho dimenticato le stelle."[69]

Durante tutto il romanzo, anche dopo che questi viaggi sono stati compiuti, il narratore non nomina mai direttamente Dio. Usa, però, nella descrizione del suo viaggio fra le stelle, la metafora della luce, tanto diffusa in tutto il Corpus Hermeticum ed in particolare nel Poimandres. Si sa infatti quanto sia forte nell'ermetismo e nello gnosticismo il legame fra luce e conoscenza e fra luce e Dio.[70]

"Ebbi una visione senza limiti. Tutto si era trasformato in una luce serena e gioiosa, e di quella visione mi innamorai."[71]. Anche Darrell ha una visione senza limiti, né di spazio, né di tempo.

"Fu allora che, fra bagliori di luce, superando d'un balzo il tetto della prigione e il cielo della California, fui libero, in mezzo alle stelle. Dico bene, in mezzo alle stelle. Camminavo fra le stelle". E più avanti: "avanzavo nello spazio interstellare, esaltato dalla coscienza di essere partito per una grande avventura, che mi avrebbe infine consentito di impadronirmi delle formule del cosmo e di conoscere i più arcani segreti dell'universo."[72]

E ancora: "Questa mia escursione celeste durò a lungo. Quando dico «a lungo» non dovete dimenticare che nel mio cervello aveva avuto luogo una dilatazione del tempo spaventosa. Per secoli e secoli percorsi lo spazio"[73]. Come fece un tempo Ermete, Darrell Standing è salito nello spazio e si è avvicinato a Dio, tanto da riuscire a vederlo. «Quella luce sono io, il Nous, il tuo Dio, io, che esistevo ancor prima del corpo umido scaturito dalla tenebra» . Sembra quasi che Poimandres si rivolga a Darrell, o meglio, si rivolge a Darrell così come fece con Ermete e, più in generale, con tutti gli uomini.

Parallelamente, la mente va alle sette sfere celesti che nel Poimandres formano l'universo e che, col loro movimento, condizionano la vita dell'uomo mediante il destino. Un destino che fa soffrire l'uomo e che può essere eluso solo rinunciando e abbandonando la parte materiale di se stessi proprio come fa il nostro eroe.

«L'uomo, a differenza di tutti gli esseri che vivono sulla terra è duplice, mortale in ragione del corpo, immortale in ragione dell'uomo sostanziale. Benché immortale e per quanto abbia pieno dominio su tutte le cose, subisce la condizione di ciò che è mortale, perché soggetto al destino. Pur trovandosi al di sopra del complesso armonico delle sfere, è diventato schiavo all'interno di questo complesso. Per quanto androgino, perché nato da un padre androgino, e benché, del pari, libero dal sonno, in quanto nato da un padre esente dal sonno, è tuttavia <vittima (del sonno e dell'amore)>.»[75].

Nelle note al testo del Poimandres, Scarpi scrive: "L'uomo si libera dal corpo, che appare ora più che mai una prigione (.) , e si lancia verso l'alto attraverso le sette sfere planetarie, sino a raggiungere la divinità. Il corpo si altera, perde la sua forma, si dissolve perché l'anima possa ritornare a far parte delle forze cosmiche. (.) Questa risalita è in qualche misura il rovescio della discesa di Anthropos."[76] Dunque Darrell, come Ermete, compie quella che è non una salita, bensì una risalita verso Dio, in quanto l'uomo primordiale è caduto nel mondo materiale per quella curiosità, quel narcisismo e quell'amore carnale di cui si è reso colpevole.

Una Breve conclusione

Non sappiamo con certezza, né questo era l'obiettivo delle nostre riflessioni, se London sia mai entrato in contatto con l'ermetismo. Ne abbiamo però un forte sospetto, avvalorato dai fatti che abbiamo appena esposto. In ogni modo possiamo affermare con certezza che Darrell Standing riesce in un'impresa che pochi hanno compiuto ma che in tanti hanno tentato; un'impresa che, in ultima istanza, è quella che deve perseguire ogni ermetista: sconfiggere la morte.

E inoltre in questo caso Darrell ha utilizzato tutti i precetti della dottrina ermetica.

Concludiamo questo lavoro, che è altresì stato molto attento alle parole dei testi che abbiamo analizzato, ancora una volta con le parole di Ermete Trismegisto e con quelle di Standing, le ultime che scrive prima di morire, ma solo temporaneamente. Parole salvifiche, parole di vittoria:

"Colui che è dio padre, dal quale è nato Anthropos, è luce e vita. Se dunque conosci che esso è costituito di vita e luce e che anche tu ti trovi ad essere formato di questi elementi, farai ritorno alla vita."

" Non posso fare altro che ripeterlo: la morte non esiste, la vita è spirito, e lo spirito non può morire. Solo la carne muore e transita, sempre rinnovandosi per il fermento chimico che la informa, sempre duttile, sempre cristallizzata, per fondersi nel flusso e poi cristallizzarsi in forme nuove e diverse, a loro volta effimere, destinate a fondersi ancora nel flusso. Solo lo spirito, nella sua ascesa verso la luce, resiste e continua a crescere su se stesso in virtù di successive e infinite incarnazioni. Che cosa sarò quando tornerò a vivere? Chissà. Chissà."[78]

Bibliografia delle opere citate

E. R. DODDS, Pagani e cristiani in un'epoca di angoscia, Firenze 1973.

ERMETE TRISMEGISTO, Corpus Hermeticum, edizione e commento di A. D. Nock e A. J. Festugière; a cura di Ilaria Ramelli, Milano, 2005.

ERMETE TRISMEGISTO, Poimandres, a cura di Paolo Scarpi, Venezia 1988.

A. J. FESTUGIÊRE, La révélation d'Hermès Trismégiste, Paris, 1954.

G. FILORAMO, Il risveglio della gnosi, ovvero diventare Dio, Roma-Bari, 1990.

G. FILORAMO, L'attesa della fine: storia della gnosi, Roma-Bari, 1987.

G. FILORAMO, Le religioni di salvezza nel mondo antico, Torino, 1978.

G. FILORAMO, Luce e gnosi, Roma-Bari, 1980.

R. KINGMAN, Jack London, 1876-1916, Paris, 1987.

A. M. MAZZANTI, Gli uomini dèi mortali. Una rilettura del Corpus Hermeticum, Bologna, 1998.

A.   PROTO, Ermete Trismegisto. La teurgia come via teosofica, Milano, 1995.

A. QUILICI e F. QUILICI, Jack London. Cercatore d'oro e d'avventura, Casale Monferrato, 2000.

I.       STONE, London: l'avventura di uno scrittore, Roma, 1979.



Questo nostro primo capitolo è basato in primo luogo sulla biografia di Jack London di Irving Stone (I. STONE, London: l'avventura di uno scrittore, Roma, 1979) ; abbiamo preso alcuni spunti anche da R. KINGMAN, Jack London, 1876-1916, Paris, 1987 e da F. QUILICI e A. QUILICI, Jack London. Cercatore d'oro e d'avventura, Casale Monferrato, 2000.

R. KINGMAN, opera citata.

F. QUILICI e A. QUILICI, opera citata.

R. KINGMAN, opera citata.

I. STONE, opera citata.

I. STONE, opera citata.

ERMETE TRISMEGISTO, Poimandres, introduzione, traduzione e note a cura di Paolo Scarpi, Venezia, 1988.

ERMETE TRISMEGISTO, Poimandres, introduzione di Paolo Scarpi; pp. 12-13.

JACK LONDON, Il vagabondo delle stelle, Milano, 2005; traduzione italiana di S. Manferlotti; cap.1, pag. 11.

J. LONDON, opera citata; cap.1, pag. 12.

W. WORDSWORTH, Intimations of Immortality from Recollections of Early Childhood, cap.5.

Cap. 6, pagg. 57-62.

Cap. 12, pagg. 143-148.

Cap. 17, pagg. 255-295.

J. LONDON, opera citata; cap. 1, pag. 13.

Cap. 1, pag. 15.

Vedi primo capitolo della presente tesi.

Cap. 1, pag. 14.

F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra.

F. NIETZSCHE, Ecce homo.

J. LONDON, opera citata; capp. 2-3, pagg. 22-30.

Cap. 3, pag. 30.

Cap. 6, pag. 63.

Cap. 6, pag. 64.

Cap. 6, pag. 67.

Cap. 7, pagg. 69-70.

Cap. 7, pag. 75.

Cap. 7, pag. 76.

Cap. 9, pag. 88.

Vedi il primo capitolo di questa tesi.

ERMETE TRISMEGISTO, Poimandres, opera citata; nota 1.

ERMETE TRISMEGISTO, opera citata; primo paragrafo.

ERMETE TRISMEGISTO, opera citata; nota 2.

Per il nostro lavoro ci siamo basati sull'edizione Nock-Festugière (ERMETE TRISMEGISTO, Corpus Hermeticum, edizione e commento di A. D. Nock e A. J. Festugière; a cura di Ilaria Ramelli, Milano, 2005

A. PROTO, Ermete Trismegisto. La teurgia come via teosofica, Milano 1995.

A. J. FESTUGIÈRE, La révélation d'Hermés Trismégiste, Paris, 1954.

Si veda per questa questione l'ottimo Filoramo (G. FILORAMO, Le religioni di salvezza nel mondo antico, Torino, 1978).

G. FILORAMO, Le religioni di salvezza nel mondo antico, opera citata.

ERMETE TRISMEGISTO, Poimandres, opera citata; introduzione di Paolo Scarpi, pag. 16.

Si veda E. R. DODDS, Pagani e cristiani in un'epoca di angoscia, Firenze, 1973.

ERMETE TRISMEGISTO, Poimandres, opera citata; introduzione di Paolo Scarpi.

Vedi nota 40.

Per tale questione rimandiamo alla lettura di G. FILORAMO, Il risveglio della gnosi, ovvero diventare Dio, Roma, 1990; in particolare nel primo capitolo l'autore affronta il tema dell'attuale riscoperta delle religioni salvifiche.

Vedi nota 40.

Forte è il dibattito sulla predominanza nella dottrina ermetica degli apporti greci o di qualli egizi. Fra i sostenitori della supremazia dell'influsso greco ricordiamo naturalmente il Festugière. Sull'altro fronte si tengano in mente ad esempio gli studi del Mahè.

G. FILORAMO, Le religioni di salvezza nel mondo antico, opera citata.

ERMETE TRISMEGISTO, Poimandres, opera citata; primo paragrafo.

J. LONDON, opera citata; cap. 21, pagg. 374-376.

Per un approfondimento sulla dottrina gnostica rimandiamo a: G. FILORAMO, L'attesa della fine: storia della gnosi, Roma-Bari, 1987.

J. LONDON, opera citata; cap. 5, pag. 51.

Cap. 5, pag. 46.

Cap. 4, pag. 45.

J. LONDON, opera citata; cap. 11, pag. 99.

Per le complesse questioni relative all'esegesi dell'intero Corpus, non possiamo che rimandare alla monumentale edizione Nock-Festugière e alla rilettura, per noi fondamentale, che Angela Maria Mazzanti, correlatrice della presente tesi, compie dell'intero Corpus Hermeticum. Nell'introduzione del suo "Gli uomini dèi mortali. Una rilettura del Corpus Hermeticum" si intende lo spirito che informa lo studio: "l'intento non è quello di giungere a una chiarezza teoretica di un fenomeno per sua stessa natura difficilmente racchiudibile in linee dottrinali". Ancor più difficile sarebbe il compito di chi dovesse analizzare in maniera sistematica, all'interno di un'opera letteraria moderna come un romanzo del 1915, le linee dottrinali dovute all'uno o all'altro apporto filosofico, religioso o culturale, specie se tale apporto non può essere comprovato e non è reso in maniera esplicita. ( A. M. MAZZANTI, Gli uomini dèi mortali. Una rilettura del Corpus Hermeticum, Bologna, 1998. )

ERMETE TRISMEGISTO, Corpus Hermeticum, opera citata; quarto trattato.

J. LONDON, opera citata; cap. 11, pagg. 122-123.

J. LONDON, opera citata, cap. 15.

Cap. 17, pag. 261.

Cap. 17, pag. 271.

J. LONDON, opera citata; cap. 10, pagg. 93-94.

J. LONDON, opera citata; cap. 10, pag. 94.

ERMETE TRISMEGISTO, Corpus Hermeticum, opera citata; nono trattato.

J. LONDON, opera citata; Cap. 21, pag. 347.

Cap. 21, pagg. 351-352.

Cap. 21, pag. 352

ERMETE TRISMEGISTO, Poimandres, opera citata; quattordicesimo paragrafo. .

Cap. 21, pag. 368.

Cap. 21, pag. 353.

Cap. 21, pag. 369.

Si veda per tale questione G. FILORAMO, Luce e Gnosi, Roma-Bari, 1980.

ERMETE TRISMEGISTO, Poimandres, opera citata; quarto paragrafo.

Cap. 11, pagg. 102-103.

Cap. 11, pag. 103.

ERMETE TRISMEGISTO, Poimandres, opera citata; paragrafo sesto.

ERMETE TRISMEGISTO, Poimandres, opera citata; paragrafo quindici.

ERMETE TRISMEGISTO; Poimandres, opera citata; nota di Paolo Scarpi (n. 80).

ERMETE TRISMEGISTO, Poimandres, traduzione di Paolo Scarpi. opera citata; paragrafo ventuno.

JACK LONDON, Il vagabondo delle stelle, opera citata.


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