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ELIO FILIPPO ACCROCCA 1923-1996

Italiana


Elio Filippo Accrocca 1923-1996

da Portonaccio

[Ho dormito l'ultima notte]

Ho dormito l'ultima notte

nella casa di mio padre

al quartiere proletario.

La guerra, aborto d'uomini



dementi, è passata sulla

mia casa di San Lorenzo.

Il cuore ha le sue distruzioni

come le macerie di spettri,

eppure il cuore ancora grida,

geme, dispera, ma vive

come la madonna di Raffaello

salvata tra i sassi della mia casa

e un paio di calzoni grigioverdi.

3 aprile 1945

[È questo il ponte che conduce all'isola]

a Renzo Vespignani

È questo il ponte che conduce all'isola

dei prati dove muore la città

d'uomini vivi, dove vive il campo

santo dei morti tra convogli radi

al fischio delle fabbriche.

A notte i morti crescono coi tufi

che ardono alla luna.

È questo il ponte che conduce all'isola

dei morti dove vive la pietà

degli uomini che vegliano nel grigio

di queste loro case in miniatura

sepolte dentro gli orti.

A notte i treni passano sui morti

che ridono alla luna.

29 gennaio 1946

da Caserma 1950

Anche gli alberi un tempo erano croci

Anche gli alberi un tempo erano croci.

Appesi ai rami d'ombra agonizzavano

i miei fratelli, il sole dentro gli occhi.

Perduta era dell'anima l'effigie

umana, sconosciuta ogni parola

d'amore era tra i simili, scomparso

tutto dell'uomo il seme e la misura.

Tutto passò in delirio: la memoria,

torbido lago ove affluisce il cuore,

sarà specchio d'immagini e di nomi.

Torno a scoprire i morti ad uno ad uno,

incustodite ceneri, a ridire

il nome dei compagni come in una

segreta antologia.

21 gennaio 1948

da Ritorno a Portonaccio

Figlio, tu non farai certo il poeta

Figlio, tu non farai certo il poeta

denigrato mestiere, bene raro

che in sé racchiude una perla segreta:

moneta antica dal valore amaro.

Il tuo malfermo passo ad altre mura

io guiderò, ma se la mala pianta

dentro il tuo cuore rinverdisse, oh, quanta

radice estirperei. Altra natura,

figlio, ti fiorirà nel sangue e nuova

vita t'allieterà i futuri anni

che s'aprono al tuo sguardo, altra ventura

avrai, diversa sorte,

lontano dagli affanni

dell'inconsulta vita che dà morte.

Tu non conoscerai la zona dove

si giuoca l'amicizia ai tristi dadi.

Se un giorno passerai in mezzo ai radi

poeti, a te il ricordo non sovvenga

del paterno sgomento.

E rifuggir dovrai

le mura, il ponte e il vasto casamento

e la corrotta aria dei quartieri

che accolsero il mio cuore un tempo (ieri)

così remoto che non fa memoria.

Né tu conoscerai le amene dispute

e i disinganni e i falsi ingegni e i queruli

lamenti, né l'incorrisposto affetto;

né familiari ti saranno i nomi,

o figlio mio felice

ad altre rive vòlto,

degli sconvolti amici di tuo padre

pronti alla guerra ed alla insofferenza

per una voce che raggela l'eco

della loro incantata maldicenza.

maggio 1956

Nel mare del tuo vivere

Quali paesi mai alla tua luce

offrire? Quali nomi delle antiche

favole a te? Non ne conservo alcuno

dell'infanzia, incantato millennio,

nell'incauto tempo che assottiglia

la grama fantasia, sepolto.

Mari d'eventi l'isola sommerse

ove ancorata l'anima attendeva

nella rada speranza ad echi umani...

Oh, mitica memoria che riemerge

dall'infuocato cielo, dalla terra

contrita, dal marino sepolcro,

umile foglia nell'incerta mano

del fanciullo che ignaro passo muove

tra scheletriti mostri,

è già ventura e grazia, intatta forma,

alle favole nuove, a te che andrai

nel mare del tuo vivere a spiegate

vele, col radar nell'aperta mente.

23 aprile 1957

Ritorno a Portonaccio

Mutato ponte e più mutate cose

dell'inesausto vivere

negli afoni mattini. Si fa monte

il ricordo degli anni quando ancora

intatta era l'immagine dei pini

densi di fumo e l'isola

di verde m'accoglieva

ogni giorno al passaggio contemplato

dei treni amici e delle amiche grida.

Oggi mutata è pure la mia vita

e i desideri, e il senso

delle parole s'è trasfigurato:

tanta merce è passata e tanto fiato...

Solo intatto mi resta

l'intramontato innesto (amore? odio?)

per il mio Portonaccio fatto mesto

e ilare, sconvolto e avvolto a un tempo

da memoria che rende l'ora desta.

ottobre 1957

da Innestogrammi - Corrispondenze

Carattere del tempo

Paesaggio no: carattere del tempo.

Dissodare il mezzogiorno dell'uomo

coi suoi problemi:

soluzione  indicazione calcolo

La risposta è nel verbo mordeo mordes

momordi morsum fino all'osso mórdere,

l'idillio è già all'ergastolo...

distinguo

piccola differenza

tra massa ed individuo:

la prima forse riesci a manovrarla

ma l'individuo lo devi convincere;

perciò il colore dominante è il verde

dell'ironia scoperta

(sapessi il resto come so a memoria

le torbide coscienze, specchio scuro

di chi rispetta il più e non il meglio)

ma occhio ai fatti e alla loro origine

da filologi non solleticando...

se prendessimo il tempo per il collo

scopriremmo l'intera verità

di questi anni rimasti dentro il mollo

delle parole dette per metà:

mezza democrazia mezzo coraggio

artifici finzioni

come nel gioco delle «tre cartine»:

manovrano sul trespolo le impure

mani di chi sovrasta...

Ai falsi poveri: a chi fa memoria

forse la sola stagione di miseria e la tengono

in mostra come gloria della loro poetica materia,

ma non fu povertà vera ch'è maceria di silenzi.

La povertà che mai se e va in feria

e dura quanto il fiato, non s'ingloria...

Oh, mente,

lucida oltranza

che non avrà più ostacolo

se non la propria perturbata fine

giunta che sia la morte (tardo oracolo)

degli anni all'ineffabile confine.

Ma la meschina fissità del numero

- improba cavia dell'intelligenza -

fosca non ti renda, mente:

il numero senz'anima ti acceca.

novembre 1960 - gennaio 1962

Chiarificazione

inviando a Zanzotto
alcuni «Sonetti del carattere»

Zanzotto, d'altra specie è quel tuo cielo

non corrotto da preci e fatto mitico

da pregi in trascendenza. Tu che abiuri

dalle consuete lettere, viva monade,

sai l'inallettevole paesaggio

della mente, anelante vendemmia.

Solìgo, finestra sul tuo orto

indiscusso, la pieve, ecloga (vita

silenziosa), la 2, la tua migliore

sorte che a foglie inverdirà di quercia

resistente sull'orlo.

Andrea,

diamo nomi agli anonimi concetti,

diamo corrente ai fili...

luglio 1962

Porta Ninfina

Porta Ninfina è la piazzuola amica

dei miei prim'anni. Anche la mia d infanzia

giace lassù, stagione inesplorata

che dall'esilio urbano scorgo a stento

tra le dita del tempo, fitta rete

di emersi eventi e di sommersa gente:

radici, tronchi, rami, fiori, frutti,

pasto alla morte, ed io tra loro, foglia.

Se non mi fossi allontanato tanto

da quel bene che altrove invano cerco...

Certa ed incerta è l'anima, palese

e occulta la ragione che sommuove

le cose umane, ed ogni direzione

sconvolta appare. La varia stagione

non segue più una ritmica misura.

S'avanza a stento dentro l'anno, oscura

preda all'ignoto e dell'ignoto meta.

Su Sarrocco di fango e pietra

- fiume d'una storia comune - si riflettono

stalle, colli, ruderi di chiese popolari.

Questa strada mulattiera, carraia,

mi rispecchia come pupilla immagine...

Se sali la scorgi umida, umile dal monte.

L'alto col basso si confondono,

hanno dimensioni illusorie,

relative.

Dopo il Serrone

la pianura slarga nella plaga pontina:

Doganella, Ninfa, Latina...

Allora ecco riemergere

quello che prima al fondo ti appariva:

Porta Ninfina.

Il relativo è un limite

che dentro ti trascini:

valle vertice

Ovest Est

... ...

Solo resiste al tempo ieri-domani

la misura antica della saggezza,

un arco

come il Ponte della Catena

dove scorrono scorie di secoli,

acqua, vena dei Lepìni.

Cori, 1960-1962

da Due parole dall'al di qua

Due parole dall'al di qua

Se un giorno guardaste dalla parte di qua

sotto il parallelo tracciato dall'indifferenza

dei cento governi che si sono susseguiti

come ciliege che una tira l'altra;

se un giorno le ciliege la piantassero

di tirarsi l'una dietro l'altra

e il vento portasse un governo d'altra natura

che non traccia paralleli con indifferenza;

se un giorno decidessimo di cambiare alfabeto

e numeri, invertendo l'ordine di andata,

allora non venite a dirci che sobilliamo le regole:

noi al di qua parliamo un'altra lingua.

22 dicembre 1968

da Siamo non siamo

A due voci

Vivere è una trappola

che racchiude una scorza di formaggio:

un'annusata, il tempo di vederla...

Che altro vuoi da me, Disperazione?

Hai colpito nel segno, Crudeltà.

Hai colmato il bicchiere, Solitudine.

Mi stai nutrendo, Ira.

Sono tuo pasto, Follia.

Mi avvolgi nel tuo manto, Bestemmia.

Integralmente mi percorri, Orrore.

Abiterò in te, Vuoto.

Mi hai piegato, Nulla...

Sei finalmente appagata, Negazione?

Sarò sempre tuo ospite, Tenebra?

Mai più risalirò da questo Abisso?

... Padre nostro,

non so dove tu sia:

ti chiedo solo un grammo di speranza...

... Sei diventato suono, fumo, nuvola,

aria, colore, linea, onda, fiato,

gesto, parola: tu sei il nostro battito.

31 dicembre 1973

da Il superfluo

La guida

Vorrei essere insensibile

come un oggetto,

una cosa scartata dal destino.

A passo d'uomo

ho ripercorso l'ultima tua strada

per ritrovare l'ombra d'un tuo gesto.

Eri tanto, eri tutto:

l'universo si rifletteva in te;

ora non sei che evanescenza: nulla.

Tua madre ha fatto il bucato

con le lenzuola dove dormisti

l'ultima notte: portano il tuo fiato.

Hai compiuto con noi un breve tratto,

ora osserviamo il vuoto che hai lasciato,

occupato soltanto dal ricordo.

Oggi che hai vent'anni

ti ricreiamo con la fantasia

nel luogo che conserva la tua voce.

Mi metto le tue scarpe, i tuoi calzini,

ricammino con te,

ma non so chi dei due sia la guida.

Lavinio, 6 luglio 1975

L'infinito?

Dove vanno i segmenti, dove approdano

i tratti d'esistenza, quale «linea»

li calamita e forse ricongiunge?

L'involucro si sa come finisca,

ma il pensiero, il dolore, la memoria,

la fantasia, la parola, il segno?

La ragione - null'altro - mi consegna

un'unica risposta: l'universo

è continua presenza che ci assorbe.

Mistero, enigma, dubbio sono strati

negativi dell'essere, appartengono

al limite che noi chiamiamo vita.

Termina il tratto di segmento, il numero

dei giorni che l'involucro racchiude:

è il Tempo senza cifre l'infinito?

15 agosto 1975

Il ritorno

Non riesco ad abituarmi

a non vederti più, a non sentirti:

è forse la condanna per chi resta?

Se avessi potuto raccogliere

nel cavo della mano la tua voce,

avrei almeno un'eco del respiro.

La tua aurora ancora scrive: è il fiato

d'una parola che rimane, il segno

della tua presenza indecifrabile.

Oggi due moto per le vie di Roma

(la stessa marca, stessa cilindrata):

ho chiamato, ma hanno accelerato.

Se ripercorro quella litoranea

o sollevo la sabbia di Lavinio,

tra le dita riaffiora il tuo profilo.

La filigrana del viso

torna a emergere dal vuoto,

come a un'estrema lente di follia...

2 settembre 1975

L'impronta

Se potessi portarti

qualche cosa di quello che hai lasciato

di qua... fammi sapere che desìderi.

Beato chi non sa, chi non ricorda:

la memoria è da uccidere, non l'uomo.

Altro che un dono, la memoria è un peso.

Però se mi mancasse pure lei,

oltre che te, mi resterebbe il nulla:

la condanna sarebbe più straziante.

Le tue cose, gli oggetti col tuo nome

sono tappe del vivere

che ci danno l'impronta dei tuoi passi.

25 dicembre 1975

Il superfluo

Le pareti di casa

sono come le pagine

d'un libro aperto

fessure e macchie

sono date e nomi

che incrinano le vene

non sappiamo che il minimo

appena l'indispensabile

del tanto che esiste

non vediamo che il contorno

delle cose nel raggio

breve degli occhi

non possediamo che il cartoccio

degli oggetti di sussistenza

chiamata proprietà

ma se aggiungi un altro giorno

alla somma puoi dire

che sai e vedi ed hai più del superfluo.

10 maggio 1978

da Bagage

Sulla scia di Joyce

. era lui, che dubbio hai?

era Joyce per le strade di Dublino

al pub con l'irish-coffee da bere in coppa

o in quell'altro pub con la guinnes

scura davanti agli occhi

smaltata con quattro centimetri di biacca

panna schiumosa

due panne schiumose

tre panne, quante pinte

sullo stomaco di prima mattina...

Anche il Liffey è ricolmo di biacca

che scorre lenta nel grasso canale,

il sole strafottente è di marca nazionale,

sempre un po' su di giri

la gente di Dublino

con doppia scrittura

e lui gaelico sui manifesti

«torna indietro...»

la torre sul mare di scogli

tra i gabbiani di Dalkey

che sanno di verderame,

da qui comincia la cara e sporca città

con musica da camera in versi

per mischiarsi alla folla irrequieta

con lo schiamazzo facile

e l'ombra di Ulisse che annotta...

Dublino, novembre 1974


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