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RAFFAELE CARRIERI 1905-1984

Italiana


Raffaele Carrieri 1905-1984

da Lamento del gabelliere

Lamento

Non pesa il fucile ad armacollo

Né il pastrano né la cartucciera

Lo stivale non pesa nella sera

Né la brina sulla bandoliera.



È l'ora ventidue, manca un minuto:

Il giro della luna s'è compiuto.

All'oscuro le pietre sono colte

Da improvvisa tacita morte.

In cielo non scorre fiume

La foglia più non riluce

Il muro è tornato muro

E lo stivale ancora stivale

Sopra in cuore del gabelliere.

Notte del gabelliere

La notte il gabelliere

È più povero di Giobbe:

La lepre ha la tana

La pecora la lana

La foglia è compagna

Di un'altra foglia.

Non c'è formica

Senza formicaio

Né cuculo senz'abete.

Il nespolo fa il frutto

L'ape il miele

L'inverno porta neve.

In ogni stagione

Il gabelliere sconta

Il peggio della notte.

Travaglio di vento

Tormento di sonno.

Chi rimuove lo stagno,

Chi passa nel trifoglio?

All'erta gabelliere.

È la Signora Morte.

Attesa di niente

La luce non mi è stata compagna

Sulla terra né l'acqua sorella.

L'affabile acqua piovana

Che materna addormenta

Il vecchio gabelliere

E la giovane rana.

Avrei voluto chiudere il cielo

Come una semplice porta

Per restare una giornata

Acquattato sull'erba

In attesa di niente.

Muro sopra muro

Maledetto sia questo silenzio

Che alza muro sopra muro:

Il cielo separa dal corpo

Lo sguardo dell'occhio.

Tra l'una e l'altra mano

C'è lo spazio di una valle.

Maledetto sia questo silenzio

Che alza muro sopra muro.

Mio limone

I tuoi rami sono lunghe

Mani di ragazze more

Il cui polso garrulo suona

Di verzicanti bracciali.

Il tuo profumo è una scala

Di tondi lisci gradini

Che corrono a chiocciola

Intorno alla luna.

La tua foglia è tre volte

Verde come una verde

Bandierina d'alga

Di domenica siciliana.

Il tuo frutto ha sapore

Di navigli nuovi

Che prendono il mare

Con risa di fanciulle.

Fine della giornata

A ogni fine di giornata

Quando il cielo muore

Con la gola tagliata

Come la gallina nera

Resto solo sul prato

Con gli odori della sera

E il sacco di cenciaiolo

Dove raccolgo la cenere

Delle mie ore terrene.

Mi duole

Seguo la mia pipa

Come un cieco segue

Un altro cieco.

Cielo non v'è stasera,

Non c'è neanche

Un poco di cielo

Su cui andare.

Mi duole la pipa stasera.

Piccola morte

So questo, era un soldato

Con un paio di scarpe nuove

Che accanto gli stavano

A vegliarlo giorno e notte.

Aveva una fucilata nel petto

E ogni volta che tossiva guardava

Con ceruli occhi le scarpe

Che vegliavano come cani

La branda dell'infermeria.

Morì alle cinque del mattino

Dicendo queste sole parole:

«Mettetemi amici le scarpe

È venuta l'ora di andarmene.»

Morì alle cinque del mattino

Con gli occhi rivolti alle scarpe.

Chi mi cammina dentro

Chi mi cammina dentro

E orma lascia di fuga?

Chi rimuove l'antica collera,

Chi brucia, chi mi fruga?

Chi si serve del mio piede

E attraversa la strada

Non mia?

Chi l'amico percuote

Con la mia buona mano?

Frammenti d'altre vite,

Memorie di peccati

Antichi io mi porto.

Morte del fiume

Non c'erano donne a piangere

La morte del fiume

Né Madonne con spade

E fazzoletti: all'oscuro moriva

Come un cavaliere caduto

Da cavallo. Non c'era luna

A piangere né fidanzata

Mentre i neri battellieri

Percuotevano all'oscuro

Con mazze e martelli

Il corpo morto dei fiume.

Non c'erano monache a piangere

Né orfanelle: non c'era l'angelo.

L'angelo delle sere d'inverno

Chissà dov'era con la sua slitta

Bianca e le sue lane.

Lamento delle 0,20

Signore, tu mi lavori senza tregua.

Nell'inverno mi lavori e nell'estate,

Nei giorni delle feste consacrate.

Nei mesi pari e in quelli di trentuno

Col sole con la pioggia con la luna.

A ore, a settimana, a cottimo, a giornata.

Come il canuto operaio della ferriera

Tu mi cuoci mi sciogli e non ti bruci.

da Souvenir caporal

Coprifuoco

Una sera fra le sette e le nove

Una sera dell'ultimo inverno

Allo scocco del coprifuoco

Il cielo ha lasciato la terra

Schiodando l'ultimo chiodo.

Una sera fra le sette e le nove

Il cielo fuggì dalla terra

Su un toro di fuoco,

Una sera dell'ultimo inverno

Allo scocco del coprifuoco

Una sera fra le sette e le nove

Il sangue s'apprese alla mota

Allo scocco del coprifuoco.

Compianto per Garcia Lorca

Al muro, il poeta al muro

Dicevano i giornali,

Lorca fucilato al muro.

Per telegrafo un muro

È uguale a un altro muro.

Gli angeli non hanno pianto

Non hanno rivolto domande

Perché in paradiso è proibito.

Hanno guardato il muro

Hanno guardato il sangue

Come si guarda una rosa

Sopra un muro di calce.

Hai colto la rosa

E ti sei messo a giuocare:

Era come alla fiera di Cordova

Era come alla corrida,

Era come alla Porta del Sole

Il giorno di Sant'Isidoro.

Era bello vedere gli angeli

Incantati di te, Garcia.

Erano stati ragazzi a Siviglia

E ti apprezzavano.

All'improvviso furono tristi,

La rosa era più bianca

E tu più fioco.

Erano stati ragazzi a Siviglia

E sapevano che un muro

È diverso da un altro muro.

In cielo te lo sei portato

Perché ce ne fosse uno meno.

Gli altri portano cavalli,

Portano cigni e colombe:

Tu, Garcia, un muro

Un muro che non si scavalca.

Lasciate che gli angeli piangano.

da La civetta

Malia d'inverno

Malia d'inverno mi tiene

E fuochi al chiuso.

Mai più tornerò

Alle notti nel mare

Sotto il gaio Capricorno.

Mai più spargerò

Foglie di ruta

Sulla fronte d venere

Né ascolterò al fresco

Lo stornello grottesco

Del venditore di terre

Che passa a cavallo

Con sette voci

Come sette liquori.

Fiore di spina

Abbandono il festino

La tazza il tamburo

E torno al fiore di spina.

Il vostro modo di uccidere

Di cantare e fare all'amore

Non mi appartiene.

Dove vado io nessuno viene

Io non voglio aprire le braccia.

Non ho niente di buono

E dove vado io nessuno viene.

Terra dopo terra ancora terra.

Terra da pane e terra da vino

Terra infine per morire.

Io non voglio aprire le braccia.

Non ho niente da dare

Niente da ricevere

E dove vado io ci sono spine.

Spine la sera spine la mattina

Spine per scendere spine per salire.

Io batto la terra

Io torno al bosco ai boschi

E batto coi piedi la terra

Come si batte la donna amata

Per capriccio o allegria:

In una mano ciondoli

E nell'altra ruscelli.

Io batto e batto la terra

Come si batte lana di pecora

Prima che la sposa si corichi.

Rauco più della cornacchia

E più stonato del violino di valle

Io canto perché mi piace cantare.

Paesi bianchi

In testa ho paesi bianchi

E scale a chiocciola.

In testa ho clarini che volano

Più veloci delle rondini

Che tornano dall'Egitto.

E occhi lunghi come barche

Come le barche che vincono

Il campionato dei fiumi.

Ho voci che mi chiamano

In idiomi che non capisco.

Mi chiamano laggiù dalle isole

E mi gettano ponti d'amore.

Ponti di giunco e di piuma

Ho in testa dove passeggiano

I figli dei miei figli

E mia madre è ancora giovane.

In testa ho paesaggi vermigli

Con grandi giocattoli gialli.

In testa ho un cielo aperto

Con angeli a cavallo.

Gioco dell'oca

L'allodola il fiume l'ocarina

L'immagine di te alla finestra

Che ti pettini come uno suona.

I monti continuano i capelli.

Mie stanze di paglia e di fuoco

Aprite tutti i cancelli: fra poco

L'allodola il fiume e l'ocarina

Sarò io nei tuoi capelli.

da Il trovatore

Forestiero in ogni luogo

Forestiero sono stato in ogni luogo

Più del lucchesino in Brasile

Che vende re di scagliola.

Sono andato di paese in paese

Come il piccolo calabrese

Astrologo e ombrellaio.

Ho risparmiato e sprecato.

Sono stato più paziente del muratore

Che attraversa il mare

Per alzare un muro in Australia.

Sera d'Africa

I cammellieri fermarono i cammelli.

L'aria era piena di tamburi

Come un cestello è pieno d'uova.

Disceso dalla mia torre di stracci

Strinsi molte mani

E molto mi inchinai.

Quale giuoco interrotto ripresi?

I millenni divennero specchi

Inganni e begli sguardi.

Sposai Sara con la vista.

I neri capelli furono miei

E il gelsomino dei seni.

Senza disfare veli

Presi la via del mare.

Sara di nuovo nel tallero

Conservato nella lana

Suona ancora nell'aria

Della mia sera d'Africa.

Tavoliere

Quando scendo dagli Appennini

Alla patria remota dei fieni

Dell'orbo mi sovviene

Asino delle cisterne

Che lo zero ripete sempre

Alla sete del Tavoliere.

Lunga sete zero cocente

Muore l'acqua nella sorgente.

Avrei potuto avere

Avrei potuto avere a Bruges

Argento e sposa nubile,

A Gand onorata vecchiaia.

Sarei stato certamente

Influente a Mariakerke:

Nei giorni di mercato

Avrei guarito cavalli

E scacciato i diavoli.

Chi disse Nordsee

Mi fece mutare

Cammino e malia.

Eccomi straniero a me stesso

In questo deserto di selci.

Il venditore di ventagli

Ventagli chi vuole ventagli?

Vendo il vento in ritagli:

Chi vuole ventagli d'aria?

Mia giuliva pazzia,

Zéfiro sono al mattino

E a vespro Ponentino.

Chi vuole ventole-stornelli?

Intreccio piumette e piume

Per scacciar le brume

Dai tuoi capelli.

Pietà cuori duri

Pietà, pietà cuori duri

Pietà per l'uccello migratore

Che ha perduto un'ala in volo.

Pietà per l'orfano gitano

Che s'è giocato a carte

Sella e cavallo

Suicida in una prigione.

Pietà per il giovane Nessuno

Ucciso in Cina

O un qualsiasi altro luogo

Clima razza condizione.

Pietà per chi muore all'impiedi

Dentro una camera d'affitto.

Pietà per chi cade

Pietà per chi si lascia cadere.

Pietà, pietà cuori duri

Voi che siete sempre seduti

E apprendete dai giornali

La morte degli altri.

da Canzoniere amoroso

La morte mi confonde

Ancora la morte mi confonde.

Lapillo o fuscello

Io sono quello

Che muta spola e spoglia

Al sangue che veglia.

Ancora la morte mi confonde

Alle coste, alle sponde

Dove non sono:

Alla rondine che di me muore

Chiedo perdono.

Qualcuno che mi somiglia

Una sera sul Quai Voltaire

Qualcuno che mi somiglia

Verrà a ricominciare

L'intesa delle ciglia.

Qualcuno che mi somiglia

Fuggiasco come me

T'ingannerà coi suoni

Rochi del fiume.

Qualcuno che mi somiglia

Ti piegherà a giunchiglia.

Socchiuso ti sto a guardare

Socchiuso ti sto a guardare

Fare lega col mare.

T'investe, ti scioglie

Con spade e coppe

Ti coglie.

Rovinoso prestigio

Dell'indaco:

Interrompo il giuoco

Apro l'occhio

E ti faccio entrare.

Arpa d'acqua

Che attenzione: l'udito, l'orecchio.

Che divertimento

Distinguere, confondere

L'acqua

L'arpa

E il campanello della brina

Che si rompe in aria.

Accoccolata ridi

Del faceto muro

Che ci divide.

Bagno di Sara

Quanti sguardi alle balaustre

E trapani nell'aria:

Più nuda non potevi essere.

Da siepi e feritoie

Spiavano i caprai,

Ti tagliavano con gli occhi.

Più nuda non potevi essere

Del pesce spada controvento.

Non dire al poeta

a Ezra Pound nel Manicomio Criminale di Washington

Non dire al poeta che il pane

È più bianco del sale.

Non chiamare la guardia

Se il poeta brucia.

Non dire quel che deve fare

Se il mare è in tempesta.

Lascia che il poeta pianga

Il cristallo ferito

Nell'oscura trincea della miniera.

Toledo

La testa piena d'icone e di spine

Vado con le spade

Fuori Porta della Visagra.

Vado a Santa Maria la Blanca

Vado sul ponte d'Alcàntara.

Vado al fiume coi cani ciechi

Vado con tutte le pietre

E il Conte muore,

Il Conte muore in tutte le ore.

Manola a Valencia

Maestra è Manola a Valencia

E i cuori smaglia

Al mercato delle selle.

L'antica arte degli occhi

Qui è pregiata.

Con gli sguardi lavora Manola

Come il sellaio col trincetto

E fa con tanti agnelli

Una sola sella.

Volgiti dalla mia parte

Lascia pinze e pinzette

E le matite che riscrivono l'occhio.

Mia bella, lascia il rosso

Che tinge il bicchiere.

Lascia scorrere la voce

Come un liquore insensato

E non correggere il tempo

Con l'ora tetra dell'orologiaio.

Mia bella, non aggiungere non sottrarre:

Lascia al pettine il divagare

E volgiti dalla mia parte.

Non attendere

Quella che vedi tra le frasche,

Incappucciata di rosa viola,

La susina è di San Martino.

All'albore d'ottobre matura

E se devi coglierla

Non attendere l'inverno.

Funaiole

Una mi slega l'altra mi lega,

Funaiole chi è che mi salva?

Mano forte fa lunga la corda

E forte stringe quello che ama.

Funaiole non fate più nodi

Che niente ho da annodare:

Tirando la canapa ai chiodi,

Funaiole non fatemi male.

da La giornata è finita

L'amico probabile

Se in tre sai dividere un capello

Non fai per me.

Se meno stimi il prato del cancello

Non fai per me.

Se l'acqua discacci con l'ombrello

Non fai per me.

Porta Venezia

I castagnai dei bastioni

Di nuovo accendono i fuochi.

La giostra nella nebbia

I lumi di Porta Venezia.

Seduta al parapetto

Mi parli all'orecchio.

L'odore di neve,

Le tue parole.

Piove non piove.

Le strade

Quello che sono e sono stato

Domandatelo alle strade

Dei paesi della sete.

Tufi lucertole spine,

Bell'uva sulle colline

Dove fui ladro di galline.

Strade di cenere e pomice

Lavorate dallo scorpione.

Dove ramingo io vissi

La cicala ancora muore.

Quello che sono e sono stato

Domandatelo alle strade.

Una dice, scatenato!

E mostra le ferite

Che fuggendo ho lasciato.

Dalle braccia di mia madre

Dalle mani dell'amata

Sempre fuggiasco sono stato.

Da me solo inseguito

Braccato, colpito.

Re per un giorno

Per cent'anni povero.

Soldato bracciante gabelliere:

Su ogni nuova strada

Nuovo mestiere.

Domandate ai sentieri della neve

Alle doline alle cordigliere

Quello che sono e sono stato.

Domandatelo alle strade.

Alla malora carte

Cartigli e scartoffie

Che potevano darmi gloria.

La vita ho consumato

Su carta e inchiostro.

Mio Dio quanto ho limato

Notte e giorno.

Mio Dio quanto ho penato.

Braccianti

Al chiuso restarono le donne

Come ombre di rondini

Sui muri di calce.

Su moli e gettate

Nessuno pianse

La partenza dei braccianti.

L'asino di Gerona

a Domenico Cantatore

Il falegname che batte il legno

Nulla sa di ciò che duole e non duole

E ha cura della sua mano

Quando forte percuote.

Nessun legno ha mai detto:

Ahi falegname, mi fai male!

La pietra si lascia rompere

Dal tagliapietre,

L'asino dal padrone.

Questo povero animale

Poggiato come un arnese

L'asino è di Gerona.

Il silenzio non mi salva

Il silenzio non mi salva

La parola non mi aiuta.

Muri aggiungo muri tolgo.

Più mi scopro più mi nascondo.

Fra la gente vivo

Fra la gente vivo

E ballo da solo.

Di ragione privo

Un poco mi consolo

Di ciò che manca.

Musica, musica!

Le parole che dice

Le parole che dice

Non dicono niente.

Ma quando ride,

E ride sovente,

Il silenzio splende

La morte si diverte.

La mia barca

A secco ho tirato la mia barca

E l'acqua mi ha compianto,

Ha compianto il vecchio marinaio.

Nella bonaccia nella tempesta

Fedele sono stato alla mia barca.

Lontano va il mare e non si stanca.

Duole l'occhio

a Ennio Morlotti

L'ultimo canto

Ha bruciato la cicala

E le spine del cardo

Di già ingialliscono.

Spettri lascia

L'estate che muore,

Volpi di paglia.

Duole l'occhio

Alle parole.

In silenzio si disfa

Il trono effimero

Del granoturco.

Quella io adoro

Adoro la donna pesce

Dal riflesso sfuggente.

Quella io adoro

Che all'oscuro

Fa luce

E subito dispare.

da Io che sono cicala

Io che sono cicala

Io che sono cicala

Per te canto.

Per te canto

Che stai zitta,

Sola in ombra

Nella casa grande.

Si addice al mio verso

Si addice al mio verso

L'andamento leggiero

E l'odore bruciato

Del fuggiasco.

Si addice il vento caldo

Che fa spuntare

Astri all'aglio

Nella fornace di sabbia.

Nasce per la rabbia

Lo spinoso cardo

E la capra consola

Col suo fiore.

A Siviglia una colomba

a Roberto Scalabrini

Nel meriggio di fuoco

Dava cornate il sole

E mi strappava

Senza sangue il cuore.

Fuggevole un'ombra,

Una sola colomba

Muovendo appena le ali

Fresco rifece amore

Coi suoi aliti.

Arlecchino mio buon principe

Arlecchino mio buon principe

Delfino primo

Del salto mortale,

Stanca è l'arpa

Per tanto suonare.

Alla fine di ogni vita

Stringe polvere la calamita.

da La formica Maria

La formica Maria

In vita meno pesava d'ogni cosa

La formica Maria.

Per trattenersi ancora

Nella cucina della fattoria

Il tempo fermò con l'ombra sua.

In vita pesava meno d'una piuma

La formica Maria.

E quando divenne muta,

Per non lasciarmi solo

Il silenzio col piombo rifuse.

In vita pesava meno d'una foglia

La formica Maria.

E quando divenne pietra

In sei furono a sollevarla

Per portarsela via.

Ora che se n'è andata

a Francesco Messina

Ora che se n'è andata

Non voglio spezzare il pane

Sulla sua tovaglia,

Sciupare non voglio le pieghe

Alle sue tele bianche.

Ora che se n'è andata

Non voglio, non voglio sentire

Il rumore delle stoviglie:

L'argento era suo, il lucore

Di crete e caffettiere.

Spegnete la carbonella,

Fuochi e lumi spegnete

Perché la mia maestra

Se n'è andata in una stella.

da Stellacuore

Dimesso l'affanno

Dimesso l'affanno;

Quieto, distante, separato

E infine perdonato

Da quelli che mi amarono.

Questo mucchietto di cenere

In mezzo alla foschia

Sono io; e l'erba che sopra

Vi cresce, ancora verde

La mia poesia

da Le ombre dispettose

Ho perduto vecchi amici

Ho perduto vecchi amici

Che sembravano fedeli,

E altri più giovani e leggieri

Sono usciti dai muri

Come ladruncoli svaniti.

Se ne sono andati quasi tutti

In punta di piedi,

Ballerini incapaci

Che fingevano volare

Verso frontiere assicurate.

Nessuno si voltò a guardare

Dalla mia parte informe

Dove, dopo le rovine,

La musica ricominciava.

Fra poco

Consumato l'ultimo

Inchiostro, fra poco

Fra poco sarò pronto.

Giorgio Bassani

da Storie dei poveri amanti

Verso Ferrara

Questa è l'ora che vanno per calde erbe infinite

nel mio paese gli ultimi treni, con fischi lenti

salutano la sera, affondano indolenti

in sonni dove tramontano rosse città turrite.

Dai finestrini aperti il vino delle marcite

monta al madido specchio delle povere panche;

dei giovanili amanti scioglie le dita stanche,

fa deserte di baci le labbra inaridite.

Sera a Porta Reno

Una effimera aurora di luna nuova ai portici

tovaglie miti accende: è l'ora che i gentili

zingari fanno i fuochi, caldi di puerili

bocche van canti, calma s'alza dagli aeroporti

azzurri una vela d'ombra, è notte, e un dolce vento

rasserena i motori perduti nel firmamento.

da Te lucis ante

[Luce che i caldi tetti]

Luce che i caldi tetti

della città saluti,

ombra che li tramuti...

(Un passo, solo un poco

più stanco; e soffi là,

dalla spia: «Sei libero,

non è che un gioco, va'...».)

Non hai pace. Prometti

cieco, ancora. Tu dài

sempre ciò che non hai:

luce, ombra, libertà.

I fiori

Non va più dolce, più santo incenso,

grazie più umile al cielo immenso

del vostro, o fiori. Oh bocche miti!

Oh lieti, unanimi sguardi infiniti!

Va' dunque e perditi, negletta lode.

Ché se vien sera nei campi, e s'ode

parlar nell'erba calda d'amanti,

chi mai per l'aria bruna altri canti,

chi, pur se vecchio, se escluso, udrà?

Ma già li assonna, gli occhi sereni,

il lungo bacio d'addio dei treni.

da Un'altra libertà

Dalle torri di Ferrara

Dalle torri di Ferrara

vola ormai la dolce luce,

ma a una grata nera, avara,

chi ti volge, chi ti induce

o carezza della sera?

Chi risponde a una preghiera,

ad un pianto abbandonato

con quest'esile fanfara?

Oh non cada sera, alcuna

notte mai se non vi porti

per lo spazio, per la bruma,

suoni deboli e distorti,

rari, trepidi segnali

quando l'ore son più eguali,

quando più lontano è il giorno

e ogni nome è sopra il mare.

[O tu, cui lenta abbraccia la collina accaldata]

O tu, cui lenta abbraccia la collina accaldata,

casa persa nel verde, volto esile e santo,

solo tu rimarrai, muto, eroico pianto,

non resterai che tu, e la luce assonnata.

L'alba ai vetri

L'alba ai vetri; e la musica d'un piffero e un tamburo

volava a me con lieve, vaneggiante allegria.

Eri tu che passavi, vita, tu, vita mia,

tu che sopravvenivi, innocente futuro.

«Empio evo venturo che premi dalle porte»

dicevo io, con lacrime più soavi che amare,

«dimentica il mio nome!» Dicevo. E la tua, morte,

ebbra ancor m'assonnava melodia militare.

[M'avessi da bambino]

M'avessi da bambino

serbato alla tua Legge.

Stato sarei del gregge

dei morti a capo chino,

vittima persuasa

di un'altra libertà.

Tu solo nella casa

decrepita vegliavi

dal tuo trono... Oh, se agli avi

sommessi, cieco infante,

dedicato m'avessi

col tuo sguardo distante!

da Epitaffio

Negli anni d'oro

Negli anni d'oro della mia

gioventù

a quante sublimi auree cose credevo

con mica troppo ahimè

coraggio di crederci!

Adesso

quasi vecchio quasi

completamente incredulo

ne ho tanto però di

coraggio

Ormai lo so

Ormai lo so perché alla mia santa

gli occhi le si riempiono così spesso di lacrime

e dice che vorrebbe

morire

Lo so da quando le ho recitato

le tre terzine finali del decimo del Paradiso

spiegandole poi come

risulti chiaro che secondo Dante

la jouissance di lassù

non si diversifica minimamente

da questa di quaggiù

tranne che per la durata

e che perciò l'eternità paradisiaca

altro non è in sostanza che un

unico

solo

interminato

venire

Gli ex fascistoni di Ferrara

Gli ex fascistoni di Ferrara

invecchiano

alcuni

di quelli che nel '39

mostravano di non più ravvisarmi

traversano mi buttano

come a Geo le braccia al collo

gaffeurs incontenibili

sospirano eh voi

propongono

dopo la dolorosa

pacca sulla spalla mancina

l'agape casalinga

che alfine consenta alla monumentale mummy cattolica

d'estrazione bolognese o rovigotta

ai brucanti in tinello strabiondi

teen-agers incontaminati

di incontrarlo una buona volta

il già compagno di scuola talmente

bravo

il bravo

romanziere

il presidente...

Hanno l'aria di insinuare

nel mentre dài piantala

non lo vedi che sei tu quoque

mezzo morto?

E poi scusa - continuano

uguali identici ormai

all'ingegner Marcello

Rimini

al rabbino dottor Viterbo -

in che altro modo senza di

noi

avresti potuto metterle insieme

le tue balle con relativo

appoggio di grana eccetera? Dopo tutto

cazzo

potresti ben cominciare

a considerarci anche noi quasi dei mezzi...

Corrazziali? Voi quoque? Dei quasi

mezzi cugini? No piano

Come cazzo si

fa

Prima

cari

moriamo

Nudo

Certe volte da che ho perduto

l'olfatto

mi dico per consolarmi

cieco non la vedrei

Ma poi ecco il mio giunco là la mia grande

bionda

e a guardarla non vedo che il

suo odore

No non aggiungerò

No non aggiungerò nuova legna

al fuoco lasciamo

che la legna che già c'è si consumi

a poco a poco

che la vampa si trasformi a poco a

poco in brace

ed io e te zitti - seduti

uno a fianco dell'altro - dal fondo

buio della sala a guardare

spegnersi finalmente anche

quella

Mi chiedi perché mai e quando

Mi chiedi perché mai e quando

ti rispondo che è stato così

accorgermi semplicemente in un tardo pomeriggio qualsiasi

poniamo - giacché non è nemmeno detto - d'ottobre

del modo come la luce del sole colpiva il roseo

impervio fianco sud-ovest di palazzo

Sacchetti

- colpiva e al tempo stesso bagnava la luce non so se mi

segui... -

accorgermi delle foglioline nere e aguzze del rampicante - l'aria era mossa

capisci? - percorse a tratti

su su per il tramite di oscuri rameggi da una specie di

reiterata scarica elettrica la quale contemporaneamente

fosse infusa chissà come d'autentico e liquido

oro

e aver voglia di schianto dopo anni infiniti

di ridere ridere e insieme del suo perfetto

contrario

Rolls Royce

Subito dopo aver chiuso gli occhi per sempre

eccomi ancora una volta chissà come a riattraversare Ferrara in macchina

- una grossa berlina metallizzata di marca

straniera dai grandi

cupi cristalli forse una

Rolls -

a scendere ancora una volta dal castello Estense giù per corso

Giovecca verso il roseo

ghirigoro terminale della Prospettiva che intanto piano

piano si faceva grande entro il concavo

rettangolo del parabrise

Lo chauffeur d'alta e dura collottola seduto a dritta davanti

certo lo sapeva molto bene da che parte dirigersi né io d'altronde

mi sognavo minimamente

di rammentarglielo

ansioso com'ero di riconoscere sulla sinistra la chiesa

di San Carlo più in là a destra

quella dei Teatini

a lei di contro già fermi così di buon'ora in crocchio sul marciapiede

dinanzi alla pasticceria

Folchini

gli amici di mio padre quando lui era giovane

i più con larghe lobbie bige in capo alcuni con tanto di mazza

dal pomo d'argento in pugno

ansioso anzi smanioso com'ero insomma di ripercorrere l'intera Main

Street della mia città in un giorno qualsiasi di maggio-giugno

attorno alla metà degli anni Venti un quarto d'ora avanti

le nove di mattina

Quasi sospinta dal suo stesso soffio lussuoso infine la Rolls svoltava

laggiù per via Madama e di lì a poco in via

Cisterna del Follo

e a questo punto ero io non più che decenne

le guance di fuoco per il timore d'arrivar tardi a scuola

a uscire in quel preciso istante coi libri sottobraccio

dal portone numero

uno

ero io che pur continuando a correre mi giravo indietro

verso la mamma spenzolata dalla finestra di sopra a raccomandarmi

qualcosa

ero io proprio io che un attimo prima di sparire

alla vista di lei ragazza dietro l'angolo

levavo il braccio sinistro in un gesto

d'insofferenza e insieme

d'addio

Avrei voluto gridare alt al rigido

chauffeur e scendere ma la Rolls

sobbalzando mollemente già lungheggiava

il Montagnone anzi ormai fuori

Porta già volava per strade ampie deserte

prive affatto di tetti ai lati e affatto

sconosciute

A letto

Ieri sera a letto mi ero messo

dalla parte destra quella che occupa

lei quando è qui

e stamani svegliandomi mi son ritrovato

a sinistra di dove nel buio ascolto insonne talora

il battito possente del suo

esserci

Cosa mi ha indotto dunque durante la notte

ad abbandonare lo spazio del suo grande

corpo assente

se non l'ansia d'essere anche io

niente?

Le leggi razziali

La magnolia che sta giusto nel mezzo

del giardino di casa nostra a Ferrara è proprio lei

la stessa che ritorna in pressoché tutti

i miei libri

La piantammo nel '39

pochi mesi dopo la promulgazione

delle leggi razziali con cerimonia

che riuscì a metà solenne e a metà comica

tutti quanti abbastanza allegri se Dio

vuole

in barba al noioso ebraismo

metastorico

Costretta fra quattro impervie pareti

piuttosto prossime crebbe

nera luminosa invadente

puntando decisa verso l'imminente

cielo

piena giorno e notte di bigi

passeri di bruni merli

guatati senza riposo giù da pregne

gatte nonché da mia

madre

anche essa spiante indefessa da dietro

il davanzale traboccante ognora

delle sue briciole

Dritta dalla base al vertice come una spada

ormai fuoresce oltre i tetti circostanti ormai può guardare

la città da ogni parte e l'infinito

spazio verde che la circonda

ma adesso incerta lo so lo

vedo

d'un tratto espansa lassù sulla vetta d'un tratto debole

nel sole

come chi all'improvviso non sa raggiunto

che abbia il termine d'un viaggio lunghissimo

la strada da prendere che cosa

fare

Alla periferia

Dunque addio anche a te alto e magro

ignoto quarantenne indugiante di qua dalla soglia

d'una saracinesca d'elettrauto o di carrozziere

mezzo calvo in blue-jeans ed in scura

maglietta con corte maniche

intento - sembra - a osservare perplesso

qualcosa di fronte che non scorgo

oppure semplicemente

a calcolare dentro se stesso i minuti

residui che lo separano dalla chiusura

serale

Sono quasi le diciannove d'una giornata

qualsiasi di mezzo maggio

e sto procedendo adagio attraverso uno qualsiasi

di questi nuovi quartieri periferici

che Carlo solo può frequentare senza sentirsi

anonimo

anonimo d'un tratto io viceversa tale e quale

l'individuo inquadrato non più di un attimo fa

al centro del parabrise

il quale non domandava come me ormai

che d'essere dimenticato

Danse macabre

Si avvicinano

pronto ognuno a occupare la propria seggiola

signori e signore appartenenti

- ovverosia appartenuti fra '30 e '40 - alla migliore

società

tutti quanti stasera resi un po' pazzi

all'idea della prossima

baldoria a base di boli

succulenti

e perciò esumando nelle more certi tremanti

loro lazzi decrepiti

ma ormai proni tutti assieme sul grande

piatto ovale d'entrée

alla ricerca chi della spigola

chi della sogliola

chi dell'ostrica

di roba tenera insomma la quale resta

sempre l'ottima per chiunque non ha

più denti

Les adieux

Piange ride grida sei molto

molto più giovane di me sei un'autentica

forza della natura

ma s'inganna non sa

in che misura

ad ogni istante io senta la mia

vita a grado a

grado lasciarmi

simile in tutto a lei

ogni qualvolta girata indietro ridendo

fra le lacrime se ne va

via

Per una macchiolina

Per una macchiolina da niente sul candido

irreprensibile tuo polsino

di pizzo

tale quasi la viola d'Attilio ti lamenti ti

disperi

Sfòrzati d'essere un po' meno nitida

mia bella un po' meno pulita così in

generale

solo un tantino

Non te ne accorgerai

più

Marg

Non saprei dire se di giorno o di notte se calpestando

io l'opposto marciapiede oppure se rapido

una volta di più passando

via con la macchina

ricordo però assai bene d'aver letto qualche mese

fa giusto al principio

dell'inverno

scritto a caratteri maiuscoli e cubitali sopra un intonaco

dilavato di periferia con un pennello

intinto in una scura vernice color sangue

rappreso

- e facevano le lettere una specie d'arco in lieve un poco esitante

salita quasi ad esprimere

anch'esse nel loro incerto flettersi la tenerezza

commemorante d'ogni supremo

addio -

ciao dolcissima Marg proprio così

CIAO DOLCISSIMA MARG. e

nient'altro

Dove sei Marg - non faccio da allora che chiedermi - dove vivi in quale

anonimo quartierino del Salario del Tiburtino o del

Trionfale

dormi vegli parli mangi ridi sospiri gridi

piangi eccetera

trascini da una stanzuccia all'altra fino all'asfittico

balconcino la già molle

tua anca di imminente

Margherita

fai ondeggiare fra le magre scapole lunga

fino alla vita fino all'esile

giro dei blue

jeans

la fulva enorme

treccia

e dove mai sarà lui soprattutto - ignoto

completamente al comune lager metropolitano e forse persino

a te stessa -

lui l'ugualmente dolcissimo tuo

poeta?

Parafrasando Engels

Tutto ciò che esiste è degno

di perire recito anche io fra me e

me parafrasando

Engels

Ed ecco nel rosso deserto crepuscolo appena dopo

Bologna ecco quasi subito

volando io continuamente in discesa lungo il dritto asfalto laggiù

verso il buio il silenzio la

solitudine

eccola là già in vista la grande la tiepida

dimora

eccola ancora là la mia

gioventù

da In gran segreto

Muore un'epoca

Muore un'epoca l'altra è già qua

affatto nuova e

innocente

ma anche questa lo so non la

potrò vivere che girato

perennemente all'indietro a guardare

verso quella testé

finita

a tutto indifferente tranne a che

cosa davvero fosse la mia

vita di prima

chi sia io mai

stato

Orly

Da bambino siccome temevo

il grande fantasma bianco m'ero fatto

un rifugio dello sgabuzzino

del telefono

Il pensiero solo che fosse possibile

spedirmi giù sottoterra di notte alla ricerca

d'un altro ceppo per il

fuoco

bastava a riempirmi d'un incoercibile

spavento

E colma quasi altrettanto d'orrore era lassù

in cima in cima alla casa

la mansarda-granaio vasta

e vuota com'era e pervasa

tutta d'un fioco

semispento grigiore

Non sono cambiato non credere anche se mi dò

coraggio anche se ti

sembrai talvolta all'epoca così calmo e

saggio così

forte

Qualsiasi angolo o spigolo continua

ad allarmarmi qualsiasi promessa

di buio può farmi

ancor oggi tremare

qualsiasi viso

Vero è che il tuo soltanto o mia rara

o mia grande ed amara o mia

perduta

ogni qualvolta pensando lo riò

negli occhi di là dal cancelletto

d'uscita

mi fa oggi ancora sì trasalire

però di

vita

Lo so perché

Da ragazzo e da giovane prediligevo

il mare tanto il suo blu

pacifico

quanto le bianco

azzurre sue tempeste

Ora - e lo so perché - sono le montagne

ad attirarmi e quelle soltanto che di

là dalle foreste salgono

più su nude

tacite

Racconto

Mentre scendeva in macchina giù dalle brulle

montagne dell'interno mentre guidava

verso il mare e la luce di

Fonteblanda

sentì a un tratto d'assomigliare a quell'esile scuro

albero là ritto da solo sull'ultimo

crinale proprio a quel vecchio

pino

di stare aprendosi come lui adagio

adagio per un'altra volta

ancora al tenero

mattino

da In rima e senza

No non aggiungerò

No non aggiungerò nuova legna

al fuoco lasciamo

che la legna che già c'è si consumi

a poco a poco

che la vampa si trasformi a poco a

poco in brace

ed io e te zitti - seduti

uno a fianco dell'altro - dal fondo

buio della sala a guardare

spegnersi finalmente anche

quella

Valzer

Uscendo sul Lungotevere sotto la pioggia battente

che impegna al massimo il tergicristallo

scorgo in un lampo prima di immettermi

anch'io nel flusso della

corrente

una grande candida pagina aperta - forse la doppia

pagina centrale del giornale

d'oggi -

ballare gioiosa e disperata presa a mezz'aria nel vortice

di una ruota gommata

una specie di estremo valzer avanti di cedere

d'arrendersi a diventare informe e bigia

poltiglia

a ridursi a

niente.

Eccolo dunque qua l'inverno un rapido

inverno ancora

così diverso dalla nera inclemente

stagione lunghissima

capace ai tempi dei tempi di trasformare

il bambino in un ragazzo il ragazzo in un

uomo

la stagione interminabile piena di fiamme

e lacrime che a ricordarla

a ripensarci più tardi oramai dentro

la primavera

ti sussurrava ebbene no non temere se tanto hai

amato ebbene di nuovo e di più tra breve

amerai


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